Butac nasce come pagina Facebook per contrastare le bufale su internet messe in circolazione da altri utenti o testate giornalistiche più e meno importanti. Oggi è tra i siti di debunking più noti del paese. Orizzonti Politici ha intervistato Michelangelo Coltelli, fondatore del sito web Butac e del suo progetto di rendere alla portata di tutti la corretta informazione.
Come può Butac contrastare un fenomeno così pervasivo come l’infodemia e le fake news?
Non può… Butac non nasce con l’obiettivo di contrastare le fake news, ma con il fine della sensibilizzazione. Fin dal 2013 in Italia le “bufale” trattavano notizie false in maniera sostanzialmente goliardica e spregiudicata.
Ho deciso di aprire Butac nel momento in cui mi sono accorto che l’avvelenamento dei media stava prendendo una brutta piega, ma nessuno lo faceva notare.
Cosa vuol dire?
All’inizio le “bufale” erano molto sciocche e ci cascavano solo persone molto disattente… poi qualcosa è cambiato. A cavallo del 2010 è iniziata la crisi del sistema giornalistico. Le testate, anche molto importanti, hanno cercato di pubblicare articoli con fonte incerta per aumentare le entrate.
Alcune di queste notizie erano goliardiche, altre invece manipolavano l’opinione pubblica in maniera volontaria o involontaria. La cosa negli ultimi anni è poi sfuggita di mano. Sempre più redazioni hanno iniziato ad usare questo meccanismo di manica larga nella pubblicazione.
Quindi Butac vuole evidenziare queste distorsioni dell’informazione?
Esatto. Il nostro compito è segnalare questi problemi nel mondo dell’informazione a chi ci segue. Questo è un problema che in Italia sta crescendo negli ultimi anni. La politica ha tentato delle soluzioni, ma senza esito. Laura Boldrini aveva cercato di creare un gruppo di consulenti che potessero aiutare la camera ed il senato nel legiferare a tal proposito. Anche il premier Giuseppe Conte si è posto degli obiettivi simili.
Qual è il ruolo di Butac?
Il ruolo di Butac è iniziare a parlare del problema. La nostra presenza non è l’unica. Bufale.Net, Matteo Flora, David Puente, Alex Orlowski e tanti altri stanno facendo questo lavoro per portare all’attenzione dell’opinione pubblica questo aspetto negativo dell’informazione.
Immaginando una figura come Saolini, qual è il confine tra lnfodemia e satira?
Qui dobbiamo fare un passo indietro. L’artista delle bufale prima di Saolini era Ermes Maiolica, che faceva satira. Saolini non credo faccia satira perché fa sempre il ruolo del personaggio coinvolto nel complotto. È bravissimo in quello che fa, ma ripete sempre lo stesso messaggio sapendo che c’è una larga fetta di popolazione che non capisce questa satira. Questo causa dei danni molto gravi all’informazione.
Saolini vuole dimostrare che il sistema ha delle falle, ma dimostrandolo a sua volta sta contribuendo alla disinformazione. Si vende come genio della rete e fa dei corsi per diventare famosi. Un numero di maggiori di soggetti come lui inquinerebbero molto la comunicazione digitale.
In che senso?
C’è una popolazione digitalmente analfabeta molto vasta in Italia, che crede veramente che questi video siano reali.
Quindi la soluzione all’infodemia può essere la censura?
No. La censura non può essere la soluzione. È però evidente che i suoi atti non portano a maggiore autocoscienza da parte degli utenti. Quindi non mi sento in nessun modo di condividere le sue posizioni e dichiarazioni.
Il problema non è dato da Ermes Maiolica o Saolini. Il problema è del sistema informativo, fatto da molti utenti digitalmente analfabeti e un sistema dell’informazione distorto. Gli utenti che entrano in rete non hanno alcun genere di formazione… non hanno nessuno strumento per difendersi dalle fake news e dall’infodemia.
L’infodemia può essere considerata una epidemia mediatica parallela a quella del covid?
Si, per una serie di ragioni. A causa della pandemia ci siamo ritrovati chiusi in casa a causa del lock-down e abbiamo subito un forte bombardamento mediatico. Avevamo molto più tempo per informarci e condividere informazioni creando questa bolla informativa che ha colpito anche i giornali.
In tema Covid i giornali hanno dato parola a chiunque, anche chi non era titolato per farlo. Inoltre le app di messaggistica sono stato il veicolo di molte testimonianze anonime di persone che si dichiaravano infermieri, medici… è stato un momento molto difficile per la corretta informazione.
Come possiamo difenderci contro la dilagante infodemia?
Avendo una corretta dieta informativa. Individuando quelle testate che riteniamo più affidabili e usarle come bussola per orientarci. Nel caso dell’epidemia biologica le testate da seguire devono essere scientifiche. Io durante questi 4 mesi tutte le mattine leggevo CDC (Centers for Disease Control and Prevention) e OMS (Organizzazione mondiale della sanità). Queste sono due testate di cui mi fido perché hanno ogni medico di ordine e grado e che difficilmente possono essere i diffusori di fake news.
Poi c’è il controllo delle fonti degli articoli, che è bene controllare per valutare l’affidabilità. La cosa fondamentale è ricordarsi che tutti siamo vittima dei nostri bias, se l’articolo è perfettamente in linea con i nostri pregiudizi allora deve sorgere qualche dubbio in più.
Può farci un esempio concreto?
Io una mattina ho letto su OMS e CDC che non c’era bisogno di mettere le mascherine all’aperto, a meno che ci siano casi di assembramento. In Italia molti giornali hanno dato eco positivo a decisioni politiche non in linea con la scienza, sia in Lombardia che in Veneto alcune scelte non sono state basate su fatti scientifici.
La stessa cosa vale per i numerosi farmaci “magici” citati dai giornali, se non compaiono sui siti di medicina allora deve sorgere il sospetto.
Quali sono i farmaci “magici” che sono stati citati dai giornali e non da OMS e CDC?
Molte dichiarazioni dei giornali non erano fondate su basi scientifiche. Ad esempio, c’è un caso grave che riguarda l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), che su pressioni politiche stava avviando una sperimentazione sul farmaco chiamato Avigan.
Lei crede che sia un complotto di Big Pharma?
È qui il problema… è per questo che io regolarmente cerco di confrontare due fonti che ritengo affidabili. Un complotto del genere dovrebbe coinvolgere migliaia di ricercatori all’interno di laboratori. Riuscire a credere che tutti siano d’accordo per diffondere il complotto è abbastanza incredibile.
Ci sono case farmaceutiche che hanno degli atteggiamenti non trasparenti per loro interessi. Però è altamente improbabile pensare che ogni volta si presenti un grande complotto perfetto in ogni minimo dettaglio.
Il problema alla base potrebbe essere influenzato dalla scarsa conoscenza dell’inglese?
In parte sì… in realtà in Italia è una questione di analfabetismo digitale. Le fasce più a rischio sono i giovani e la terza età. Anche ragazzi di 15 anni non sanno cos’è un Browser o un motore di ricerca. Non sanno cos’è la profilazione. Non hanno idea di come funzioni la rete.
Se Google sa che cerco articoli degli anti-vaccinasti, mi continuerà a proporre quegli articoli perché saprà che ne sono interessato. Quindi una persona può finire in una bolla informativa senza neanche accorgersene.
Quindi il fenomeno infodemia è causato dall’ignoranza?
Non proprio. Conosco persone con diverse lauree che cadono in quello che viene definito Information Disorder, esattamente come altri con la terza elementare. La corretta informazione passa dallo spirito critico e dall’alfabetizzazione digitale che un individuo ha. Le nozioni e gli studi universitari non garantiscono una difesa all’infodemia dilagante.