Articolo pubblicato su Business Insider
Sono ormai molti anni che bassi tassi di fertilità hanno un profondo impatto negativo sulla sostenibilità dello stato sociale in molti Paesi sviluppati. Questo è evidente soprattutto in Europa, dove l’invecchiamento della popolazione e la piramide demografica “rovesciata” (ovvero dove i giovani non sono la parte di popolazione più numerosa) rendono gli scenari futuri per le nuove generazioni sempre più incerti. A questo va aggiunto l’impatto economico e sanitario del Coronavirus, per il quale uomini e donne hanno visto stravolgere le proprie abitudini e cancellare le sicurezze, che dopo la crisi del 2008 si stavano ricostruendo. Gli shock economici del passato possono darci indicazioni sull’evoluzione del tasso di fertilità post-Covid?
L’andamento economico di un Paese ha un effetto sul tasso di fertilità?
Storicamente, le crisi economiche hanno sempre portato a un calo del tasso di fertilità. Tuttavia, secondo Chiara Ludovica Comolli, ricercatrice presso l’università di Losanna, rispetto alle crisi precedenti e alle diminuzioni del tasso di fertilità negli anni ’60 e ’70, la Grande Recessione iniziata nel 2008 ha avuto effetti più incisivi e duraturi.
Partendo dagli Stati Uniti, diversi studi hanno cercato di far luce sulla correlazione tra andamento economico e la variazione nel tasso di fertilità. Nel primo grafico è possibile analizzare l’andamento di questi due indicatori: da un lato il Pil pro capite, dall’altro il tasso di fertilità generale, misurato come il numero di figli ogni mille donne. Dall’anno 2008, quando il Pil inizia a decrescere, il tasso di fertilità si muove in maniera pro-ciclica: al diminuire del Pil, diminuisce anche la fertilità. Tuttavia, la progressiva ripresa economica evidenziata da un Pil crescente negli anni successivi non ha portato a una ripresa della fertilità, che continua a decrescere. Secondo Daniel Schneider, professore di Public Policy presso la Harvard Kennedy School, questo declino è dovuto a una condizione economica più dura e difficile per le famiglie, ma anche all’insicurezza economica che, creando incertezza sul futuro, posticipa la decisione di iniziare una gravidanza.
Per l’Unione europea, dove la crisi economica ha colpito più duramente a partire dal 2011, è possibile fare un discorso analogo. Il rapido aumento della disoccupazione e il crescente sentimento di insicurezza, generato dall’instabilità finanziaria, hanno avuto un impatto negativo sulle decisioni di intraprendere una gravidanza da parte delle famiglie europee. Come si evince dal grafico qui sotto, questo effetto è maggiore nei Paesi mediterranei come l’Italia e la Grecia (che ha visto una riduzione della fertilità da 1,5 a 1,29 dal 2008 al 2013), con un elevato debito pubblico. È inoltre interessante analizzare le fasce di popolazione che più influenzano questi dati. Infatti, i più giovani, tipicamente under 30 e con un più alto grado di istruzione, evidenziano i cali di fertilità più drastici rispetto alle altre fasce. Come dimostrano Karel Neels, Zita Theunynck e Jonas Wood in uno studio del 2012, questi effetti sono dovuti alla maggiore propensione verso carriere lavorative di lungo termine che donne e uomini maggiormente istruiti hanno. Di conseguenza, le decisioni di posticipare l’allargamento di una famiglia avvengono con più frequenza.
Dunque, sorge quasi spontanea una domanda: come accaduto in passato, il Coronavirus avrà un impatto sul tasso di fertilità? La crisi del Covid-19, che porta con sé un grosso peso sanitario e sociale, è sicuramente diversa rispetto a una “semplice” crisi economica, tuttavia presenta delle similitudini che possono fornire elementi interessanti per stime future.
La più importante di queste è l’impatto sul tasso di occupazione. Infatti, quest’ultimo è un fattore determinante nelle scelte familiari. Come dimostrato da Christian Schmitt (Università di Rostock) e Alìcia Adserà (Princeton University) in due studi nel 2012 e 2011 rispettivamente, sia l’occupazione maschile che quella femminile hanno un effetto positivo sul tasso di fertilità. Se le precedenti crisi economiche hanno avuto un impatto negativo sull’occupazione maschile soltanto, la crisi pandemica sta colpendo molto duramente anche quella femminile. Per questa ragione, potremmo aspettarci un effetto negativo sulla fertilità aggravato dalle condizioni del mercato del lavoro nel quale ci stiamo addentrando.
L’impatto del Covid-19 sulla fertilità
Stando ad uno studio pubblicato il 24 luglio dai ricercatori dell’Università Bocconi di Milano e dell’Università di Firenze, il Covid-19 avrà un impatto notevole sulla fertilità. Mancano infatti, rispetto al passato, i parametri che hanno permesso il baby boom in stile influenza spagnola: una rinnovata prosperità economica e un maggiore senso di sicurezza. Parametri, questi, che generano una fiducia – ad oggi scarsa – nel futuro, che si traduce in un sensibile aumento delle nascite. Stando ai dati raccolti nello studio, il tasso di fertilità è prossimo a diminuire plausibilmente a causa dell’incertezza economica e dell’aumento degli oneri legati all’assistenza all’infanzia. Infatti, soprattutto nei prossimi anni, i Paesi ad alto reddito rischiano di subire una maggiore contrazione delle nascite rispetto ai Paesi a medio e basso reddito. Invero, nei primi vi sono diversi fattori che contribuiscono al declino della fertilità. Tra questi, la mancanza dell’assistenza all’infanzia dopo la chiusura delle scuole e il deterioramento delle prospettive economiche. I secondi invece “scontano” l’impatto sulle nascite tramite un ulteriormente ridotto accesso agli strumenti di pianificazione familiare – contraccettivi etc. – rischiando così un picco, nei prossimi anni, di gravidanze indesiderate, con un peggioramento della condizione dei neonati.
Secondo i dati incrociati di Pil pro capite e tasso di fertilità dal 1970 ad oggi, si evince dal grafico sotto come le recenti crisi abbiano sempre avuto un impatto negativo sulla fertilità in Italia. Infatti, a seguito della crisi del 2008, il tasso di fertilità non ha mai ripreso a crescere, diminuendo ulteriormente a seguito della crisi del 2011. In concomitanza, il Pil pro capite ha subito una notevole battuta d’arresto a seguito delle crisi, tanto da diminuire prima e da rimanere in uno stato stazionario dopo. Gli individui infatti sono stati fortemente condizionati dall’incertezza post crisi, fattore che influisce sulle preferenze, oltre che sulle scelte di consumo. Dettate, queste, da un livello retributivo in Italia da anni stazionario.
Le crisi economiche comportano sempre una ridotta fiducia nel futuro, soprattutto sotto la lente della qualità della vita, che in Italia è sempre stato un paramento caratteristico. Queste infatti riducono le prospettive future, impattando negativamente sia sui consumi che sulle preferenze odierne, parametri che infliggono un duro colpo alla qualità della vita. Le famiglie fiduciose sono più disposte – rispetto alle famiglie “pessimiste” – a mantenere un figlio, anche e soprattutto in virtù degli standard di vita che potranno offrirgli. Gli individui sono chiamati adesso a credere in una futura prosperità dovuta dalla prossima ripresa economica. Tuttavia, la stessa ripresa forse mai come oggi necessaria non arriverà, secondo le stime, prima del 2021-2022.
Testo a cura di Giacomo Casali e Mattia Moretta