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Com’è potente il mare: il commercio marittimo come chiave del potere mondiale

Tempo di lettura stimato: 5 min.

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Gli Stati Uniti d’America sono, al momento, l’unica vera superpotenza mondiale. Dotati di un grande potenziale economico, tecnologico e militare, gli Usa sono in grado di influenzare attivamente gli eventi e le relazioni internazionali come nessun altro Stato riesce ancora a fare. Ma cosa rende una grande potenza una superpotenza? Quale rilevanza assume il dominio dei mari nella ricetta per la conquista del primato?

Chi domina il commercio marittimo ha il mondo in mano

“Chi possiede il mare, possiede il commercio mondiale; chi possiede il commercio, possiede la ricchezza; chi possiede la ricchezza del mondo possiede il mondo stesso.”. La citazione del navigatore inglese Walter Railegh rappresenta ancora oggi un principio assoluto; infatti, l’instaurazione del dominio dei mari, o talassocrazia, ha sempre rappresentato uno dei traguardi più ambiti per ogni grande potenza della storia. Dai greci ai fenici, dai bizantini ai portoghesi, dagli spagnoli agli olandesi: tanti sono i popoli a cui viene riconosciuto il merito di aver conquistato mari e oceani. Nel corso della storia però, l’unico vero impero marittimo per antonomasia non è altro che quello britannico che, nei secoli dell’età delle scoperte, è riuscito ad imporsi come l’egemone del mondo intero. Una supremazia che, nel XX secolo, viene ereditata dagli Stati Uniti; il Regno Unito infatti, stremato dalla due guerre mondiali, era diventato troppo piccolo e vulnerabile per mantenere in vita il proprio impero coloniale.

Nascita della potenza statunitense: storia americana tra dimensione talassocratica e tellurocratica

La superpotenza che oggi conosciamo, protagonista del mondo moderno, in grado di influenzare le scelte e gli scenari internazionali, nasce poco più di 200 anni fa, nel 1776, quando dichiara la propria indipendenza dalla madrepatria britannica. Da un punto di vista geopolitico, la storia americana, dalle sue origini ad oggi, può essere divisa in fasi marittime e terrestri. Le tredici colonie britanniche nascono proprio dal mare e devono al commercio la loro successiva fortuna; a questa prima fase talassocratica ne succede una di terraferma, di espansione verso Ovest. Gli Stati Uniti si concentrano quindi sulla conquista di territori, battendosi contro potenze europee, tribù native ed il vicino Messico.

Successivamente alla guerra civile tra gli stati del Nord e quelli del Sud, la strategia americana torna di nuovo ad interessarsi al mare, puntando verso Cuba, Filippine e Porto Rico. Gli Stati Uniti danno quindi vita ad una flotta di enormi dimensioni e, interrotta la propria politica di isolazionismo, iniziano a spargere le proprie basi navali nel mondo. Ormai egemone del mare, il Nuovo Mondo riesce quindi a controllare il commercio marittimo, impossessandosi della preziosa eredità britannica: questa fase marittima, la più longeva, dura ancora oggi e caratterizza le scelte di Washington da quasi due secoli. Ma quali sono gli ingredienti  che hanno reso possibile l’instaurarsi di una talassocrazia anglo-statunitense?

Ecco perché gli Stati-isola dominano il commercio marittimo

Le opere dell’ammiraglio Alfred Mahan e del geografo Halford Mackinder costituiscono ancora oggi il punto di riferimento per comprendere come gli Stati promuovano il loro interesse tramite una strategia di dominio marittimo. Nonostante alcune differenze nei dettagli, entrambi gli studiosi sono convinti esista un forte legame che unisce i due grandi imperi talassocratici, una continuità di forma e intenzioni. Per quanto riguarda la forma, entrambe le nazioni non sono altro che due grandi isole a ridosso di un continente: l’Europa per il Regno Unito e l’Eurasia per gli Stati Uniti. Affacciarsi ad un continente di dimensioni ben maggiori significava però per i due stati-isola essere costantemente in pericolo, soprattutto nel caso in cui il continente, avesse raggiunto un’unione di intenti economico-politica. Per difendere i propri interessi quindi, i due Paesi misero in atto la stessa strategia: intervenire attivamente sul continente, non solo inserendosi nelle relazioni internazionali dello stesso, ma anche favorendo la divisione delle sue parti.

Il successo degli imperi talassocratici è quindi racchiuso in due strade, percorse in parallelo: da una parte l’affermazione della propria insularità, sfruttando la posizione geografica per dominare gli oceani e quindi il commercio marittimo; dall’altra invece, l’impegno a contrastare qualsiasi tipo di unificazione del continente. Un impegno che il Regno Unito tentò di compiere fino alla fine quando, durante la seconda guerra mondiale, decise di consegnare agli Stati Uniti lo scettro del proprio impero.

Il dominio della terra può costituire una minaccia per la talassocrazia?

Oggi gli Usa sono quindi l’unica “isola” contemporanea: la supremazia nel commercio marittimo e l’incredibile capacità di influenzare le vicende strategiche del pianeta che li contraddistinguono hanno reso gli Stati Uniti un bersaglio a cui  strappare il primato. Nell’ottica della perenne lotta al dominio mondiale infatti, altre potenze si sono gettate nella corsa per sostituirsi alla superpotenza americana; chi ci può riuscire davvero?

La letteratura ha più volte cercato di dare risposta a questa domanda, ottenendo interpretazioni e letture diverse. La scuola geopolitica del generale tedesco Karl Haushofer, ad esempio, formulò diverse strategie finalizzate a strappare ai lupi di mare anglo-statunitensi il controllo del mondo: secondo questa dottrina sarebbe stata fondamentale la creazione di centri di potere mondiali, che potessero davvero opporsi alla supremazia talassocratica. Haushofer quindi promosse la creazione di un blocco continentale euro-asiatico, il quale divenne realtà durante la seconda guerra mondiale. Infatti, attraverso il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop firmato da Germania e Unione Sovietica e successivamente con il patto Tripartito, stipulato da Germania, Italia e Giappone si costituì la cosiddetta “alleanza dell’Asse”, che coinvolgeva i quattro Stati.  È chiaro quindi che il potere terrestre, secondo l’opinione del generale tedesco, potesse sovvertire quello marittimo. Questa linea di pensiero, più attuale che mai, sta oggi godendo di nuovo interesse da parte di Russia e Cina che, lanciando progetti di unificazione continentale nell’area eurasiatica come la “Belt and Road Initiative”, la cosiddetta nuova via della seta, sperano di poter estromettere la presenza statunitense dalla regione.

Una diversa lettura dei fatti è invece quella dell’ammiraglio Mahan il quale, nel suo celebre saggio The Influence of Sea Power Upon History, afferma che solo attraverso il controllo dei mari e dei commerci oceanici si possa davvero colpire un impero marittimo, in poche parole: la talassocrazia anglo-statunitense può essere sfidata solo da un’altra talassocrazia che abbia sufficiente capacità organizzativa e autorità territoriale. In quest’ottica quindi risultano significative le parole del Presidente della Repubblica Popolare cinese che ha invitato la propria popolazione a “donarsi al mare”. Per questa ragione la Cina, nel tentativo di estromettere gli avversari dal Mar Cinese Meridionale, appare oggi la principale minaccia per gli Usa.

Il tramonto del gigante statunitense?

Secondo le più attuali dottrine strategiche i prossimi anni saranno cruciali per determinare chi, opponendosi alla talassocrazia americana, riuscirà realmente ad appropriarsi dello strapotere che al momento è ancora  in mano agli  Stati Uniti.

Quel che è certo è che sembrano sussistere tutte le condizioni necessarie per un cambio di passo mondiale. Solo il tempo però ci dirà se questo avverrà tramite la formazione di una massa eurasiatica, di una tellurocrazia dominata da Cina e Russia, oppure dalla nascita di una flotta navale cinese in grado di sovvertire la superpotenza statunitense.

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