Pur essendo ancora difficile determinare con certezza che forma prenderà il nuovo Afghanistan, il legame con la legge islamica rimane un punto saldo della narrativa politica tramite cui i Talebani descrivono, interpretano e giustificano il proprio ritorno a Kabul.
Che cos’è la sharia?
In arabo “la retta via”, la sharia racchiude una serie di principi etico-morali estrapolati dal Corano e dalla sunna (detti e azioni del profeta Maometto). Non codificata, la legge islamica può essere comparata – con le dovute riserve – alla common law inglese, basata su pareri e tradizioni più che su testi scritti. Questa peculiarità ha fatto in modo che i Paesi arabi adottassero versioni della sharia anche molto diverse fra loro, interpretandola e diversificando l’applicazione dei suoi dettami in base al contesto sociale, culturale e politico della propria nazione.
Generalmente, la sharia mira a regolare i rapporti fra uomo e dio tramite i cinque pilastri dell’Islam (inadat) e fra gli uomini (muamalat), e include regole che riguardano la giustizia criminale, i contratti finanziari, il matrimonio e il divorzio, i riti e rituali religiosi, le proibizioni sulla dieta alimentare, l’etica privata e interpersonale.
Come interpretano la sharia i Talebani?
Noti per l’uso spropositato della violenza e la totale inosservanza dei diritti umani, i Talebani si rifanno ad una versione più arcaica e tradizionalista della sharia. E’ in nome di quest’ultima che fra 1996 e 2001, gli anni del primo Emirato, i Talebani si sono macchiati di crimini quali lapidazioni, impiccagioni pubbliche e frustate.
L’interpretazione talebana della sharia deriva dalla corrente Deobandi della scuola giuridica hanafita, una branca estremista comune nel Sud-Est asiatico e in Pakistan. Emersa nell’India coloniale, questa corrente considera l’adesione alla sharia come “via di salvezza” e si rifà a dettami e pratiche che risalgono all’Islam del settimo secolo (gli anni del profeta Maometto). Tale interpretazione giustifica e sostiene, per i Talebani, l’esistenza e l’operato dell’Emirato islamico e le violenze della jihad (guerra santa) come obbligazione divina; considera inoltre ogni resistenza al regime talebano equivalente al rinnego dell’Islam. Letta in quest’ottica, la legge islamica ha permesso ai Talebani di giustificare un’azione di governo – quale voluta e richiesta da Dio – guidata da un’ideologia basata sulla negazione del pluralismo e sul rigetto del mandato popolare e, quindi, della democrazia.
I riferimenti della cultura religiosa talebana sono stati, fino al nuovo Emirato, principalmente due.
L’Islami Adalat (giustizia islamica) dà indicazioni a giudici e amministratori, mentre il trattato posteriore De Mujahid Toorah – De Jihad Shari Misalay (le leggi della sharia sulla jihad) determina invece le regole da adottare in caso di conflitto.
Nel tentativo di cristallizzare la base della legge islamica dell’Emirato in un testo scritto, fra il 2009 e il 2013 la Commissione Culturale Talebana ha messo in circolazione la Layha (o “guida del mujaheddin”), contenente alcune citazioni coraniche e esplicitante la cultura dell’obbedienza e il ruolo del mujaheddin nei confronti dei propri capi, del proprio ruolo e del nemico.
Ultimo testo – ma non per importanza – che regola il rapporto dei Talebani con la sharia è L’Obbedienza all’Amir (emiro), una guida pratica per coordinare il movimento talebano ed elogiare i suoi leader per l’implementazione della sharia. Secondo il documento, la gerarchia talebana (di cui l’amir è capo) deve essere regolata dalla cultura dell’obbedienza, e riflette l’ordine voluto dalla volontà divina: Dio opera tramite la mano dell’amir e, dunque, obbedirgli equivale ad eseguire il volere del Profeta e di Dio.
Attribuire l’intero progetto politico dei Talebani all’implementazione della legge islamica ci impedirebbe però di considerare un elemento fondamentale per la sua formulazione. Come evidenziato dallo storico Rashid, l’influenza delle leggi tribali pashtun (etnia di appartenenza dei Talebani) ha giocato un ruolo fondamentale nel plasmare l’azione politica del movimento, rendendo complesso stabilire se la madre ideologica delle leggi dell’Emirato sia da ricercare unicamente nella sharia – come sostenuto dalla narrativa talebana – o in ben più localizzate tradizioni etniche.
Donne e sharia: un binomio strumentalizzato
Nel rispondere alle ripetute domande della comunità internazionale sul destino delle donne nel nuovo Afghanistan, Zabihullah Mujahid ha risposto che esse avrebbero goduto di non meglio definiti “diritti concessi dalla sharia”.
Sotto il primo controllo talebano le donne afghane sono state sottoposte ad ogni sorta di restrizione e hanno assistito al pressoché totale annullamento dei propri diritti. Costrette a de facto arresti domiciliari, bloccate dentro le mura di casa se non accompagnate da un uomo, precluse dall’accesso a istruzione e lavoro e forzate ad indossare il burqa, le donne afgane hanno subito per anni le conseguenze di una narrativa che giustificava tali soprusi in nome della sharia.
Ma cosa dice davvero la legge islamica a riguardo? Purtroppo è difficile dare una risposta esaustiva che non rischi di semplificare eccessivamente un quesito molto complesso. Le interpretazioni più radicali – come quella talebana – si rifanno al dibattutissimo verso 4:34 del Corano per giustificare la minore considerazione dei diritti delle donne nelle società islamiste. Il passo afferma che Gli uomini sono responsabili delle donne, perché Allah ha fatto sì che l’uno prevalga sull’altro e perché spendono i loro beni. Le buone donne sono quelle che obbediscono e custodiscono in segreto quello che Allah ha custodito. Quanto a quelle di cui temete la ribellione, ammonitele, banditele in letti separati e flagellatele.
Una traduzione però controversa, che diversi studiosi ritengono deviante e poco conforme all’essenza e alla considerazione della dottrina islamica nei confronti delle donne.
Sharia e giustizia criminale: un approccio punitivo
L’intransigenza talebana si è riflessa nell’applicazione di una rigidissima giustizia criminale. Lapidazioni pubbliche, impiccagioni, amputazioni di arti erano all’ordine del giorno durante il primo Emirato e violenze di questo tipo sono continuate anche nell’Afghanistan post talebano.
L’utilizzo di punizioni corporali, la pena di morte e la disproporzionalità delle pene inflitte ai rei è stata giustificata dai Talebani come applicazione diretta della sharia. La legge islamica individua 3 tipi di crimini (e le punizioni corrispondenti):
1) Tazir: offese minori (rapine fallite, furti tra parenti, falsa testimonianza e prestito di soldi) che vengono valutate da un giudice;
2) Qisas (occhio per occhio): chi subisce un crimine è autorizzato a ricambiare con la stessa identica offesa subita (es: omicidio per omicidio);
3) Hudud: il tipo di crimine più grave, quello perpetrato contro Dio (adulterio, consumo di alcool, furto…).
In un’intervista rilasciata alla BBC pochi giorni prima della seconda presa di potere dei Talebani, un giudice del movimento ha esemplificato così il regime del terrore applicato alla giustizia criminale: Per l’adulterio, la nostra sharia è chiara. Per chi fa sesso fuori dal matrimonio, la punizione è 100 frustate in pubblico. Per chi è sposato e trasgredisce, la punizione è la lapidazione. A coloro che hanno rubato, se colti in flagrante, saranno tagliate le mani saranno. (..) Ci (la comunità internazionale, ndr) stanno giudicando male, è meglio lasciare impuniti questi crimini? Quando centinaia di migliaia di persone muoiono di AIDS, e i banditi e i rapitori fanno quello che vogliono? O è meglio tagliare le mani di una persona per la sicurezza di tutti?
Intrattenimento, arte e cultura: contro la volontà divina
Il quinquennio del primo Emirato ha visto l’abolizione di ogni forma di espressione artistico-culturale indipendente. Vietati la musica e gli strumenti musicali a eccezione del dal, la fotografia, i film, qualsiasi immagine raffigurante esseri viventi, la TV, la pittura, la danza. Ogni forma d’arte era considerata incompatibile con le leggi e le tradizioni salafite – a cui i Talebani si ispirano.
La censura applicata a tutte le forme di intrattenimento viene giustificata – di nuovo – come necessaria per prevenire comportamenti profani o haram. Per quanto riguarda la musica – ufficialmente vietata anche nel secondo Emirato – l’interpretazione talebana ritrova nell’hadith, il racconto della vita di Maometto, la prova della sua natura “anti-islamica”.
Sharia ieri e oggi: cosa cambierà rispetto al 1996?
Il legame fra le politiche talebane e l’interpretazione della sharia è complesso. In nome della legge islamica i Talebani hanno instaurato un vero e proprio regime del terrore – basato sull’intolleranza, la cultura dell’obbedienza e la dittatura del controllo. Nonostante questo, nel mondo musulmano numerosi studiosi forniscono interpretazioni molto meno radicali e ortodosse della sharia rispetto a quella dei Talebani, e attribuiscono all’Emirato un legame molto più forte con le leggi etnico-tribali pashtun rispetto a quello con la legge islamica.
Dopo il crollo del governo afgano di agosto, i Talebani sembrano aver cercato di tranquillizzare la comunità internazionale adottando – a parole – una politica più moderata rispetto al passato. Dichiarazioni di esponenti del comando talebano hanno annunciato che le donne potranno avere accesso all’università separata per sesso, che non saranno obbligate ad utilizzare il burqa, che non ci sarà repressione contro i dissidenti politici, accennando alla possibilità di una reinterpretazione della sharia in chiave più tollerante. Sul campo, però, le violenze continuano e il futuro dell’Afghanistan rimane ancora spaventosamente incerto.
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