Il quadro generale della comunità LGBT
Nel 1889, con il codice Zanardelli, i rapporti omosessuali diventano legali in Italia, quando non connotati da violenza o da pubblico scandalo. L’eccezione risulta congruente con i tempi. Tuttavia, insieme alla condanna da parte della Chiesa, ha contribuito alla perpetuazione dello stigma di cui la comunità LGBTQIA+ italiana ancora risente. Secondo il report International Lesbian and Gay Association (Ilga) Europe 2020, fra discriminazioni e nuovi diritti, l’Italia si classifica 35esima sui 49 paesi Europei presi in considerazione in merito ai diritti delle persone LGBT QIA+. L’Ilga ha invitato l’Italia a tutelare maggiormente i bambini intersex, permettere l’adozione da parte di coppie omosessuali e implementare una legge contro l’omobitransfobia (avversione nei confronti degli orientamenti sessuali che non corrispondono con l’eterosessualità). L’ultimo punto potrebbe essere spuntato con l’approvazione della legge Zan alla Camera.
Unioni civili: dove siamo arrivati?
L’approvazione della legge Cirinnà nel 2016 è stata ben accolta nella comunità LGBT QIA+. Figlia di una lotta che parte nel 1968 con la prima proposta da parte dell’”Interparlamentare donne comuniste”, la legge regola le “unioni civili tra persone dello stesso sesso” e le convivenze di fatto, “un istituto che riguarda sia coppie omosessuali che eterosessuali composte da persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi”.
Mentre in sedici Paesi europei il matrimonio e l’unione civile godono degli stessi diritti e comportano gli stessi doveri, in Italia i due istituti non sono completamente sovrapponibili. L’unione civile non prevede il dovere di fedeltà tra coniugi e può essere disciolta attraverso il divorzio diretto senza passare per la separazione personale.
Il lento avanzamento dell’Italia rispetto alle altre nazioni europee è dovuto in gran parte allo sfondo religioso cristiano-cattolico del Paese. È sufficiente leggere i dati del Rapporto Italia 2019 dell’Eurispes: il 49,3% degli italiani ha fiducia nella Chiesa cattolica (mentre solo il 20,8% dei cittadini ha fiducia nelle istituzioni statali).
“Non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione” ha dichiarato Papa Francesco nel 2016 in merito alla possibilità di adozione da parte di coppie arcobaleno. La legge Cirinnà, parallelamente, non consente alle coppie LGBTQIA+ l’adozione di un minore, specchio dell’opinione pubblica italiana: secondo il Rapporto Italia 2019 dell’Eurispes, solo il 31,3% dei cittadini si dice favorevole. La sentenza della Cassazione del 26 giugno 2019, che permette l’adozione da parte di persone single, tuttavia facilita la creazione di famiglie arcobaleno.
La stepchild adoption
La “stepchild adoption”, ovvero l’adozione del figlio del partner, rimane possibile solo alle coppie eterosessuali. Nelle famiglie omogenitoriali solo il genitore celibe che ha adottato il minore ha diritti legali su di esso. Il partner non ne è formalmente legato. La sentenza dell’11 luglio 2020 del tribunale per i Minorenni di Bologna potrebbe però dare una svolta a questa tendenza. Un giudice ha per la prima volta riconosciuto la “stepchild adoption” per una coppia omosessuale.
LGBT: Il dibattito sulle adozioni
Il dibattito sulle famiglie omogenitoriali è molto acceso nella comunità scientifica. Nel 2016, la New Yorker Columbia University ha deciso di analizzare 77 ricerche sull’omogenitorialità pubblicate dal 1980 ad oggi per risalire all’opinione generale degli esperti. Nel presentare il proprio resoconto, l’Università ha dichiarato che nel loro insieme gli studi formano “un consenso accademico schiacciante sul fatto che avere un genitore gay o una genitrice lesbica non danneggi i bambini”.
Gli oppositori all’adozione da parte di coppie omosessuali si basano invece spesso sulla ricerca pubblicata nel 2012 sulla rivista Social Science Research dal sociologo Mark Regnerus. Da questa emergerebbe che i ragazzi cresciuti in famiglie omosessuali sono dalle 25 alle 40 volte più svantaggiati dei loro coetanei. Tre anni dopo, la stessa rivista scientifica ha però presentato lo studio dei professori Simon Cheng e Brian Powell, che mostrava gli errori sistematici commessi da Regnerus. Rivalutando i dati della ricerca del 2012, Cheng e Powell sono arrivati alla conclusione opposta. Le differenze tra i figli di coppie eterosessuali e quelli di coppie omosessuali sarebbero minime.
In Italia, l’opinione degli esperti è schierata su due fronti. Il presidente della Società italiana di pediatria Giovanni Corsello ha dichiarato che “vivere in una famiglia senza figura materna o paterna potrebbe danneggiare i figli”. L’Associazione Psicologi Italiani e la Società italiana di psichiatria, invece, ricordano che “le affermazioni secondo cui i bambini, per crescere bene, avrebbero bisogno di una madre e di un padre non trovano riscontro nella ricerca internazionale”. Inoltre che “ciò che conta è valutare la capacità affettiva del genitore, che non dipende affatto dal genere”.
Cambio di sesso
La possibilità di cambiare sesso in Italia è stata introdotta con la legge 164 del 1982. La legge consentiva la transizione legale nel caso in cui l’intervento chirurgico fosse già stato permesso dal Tribunale e completato. In questo modo, si teneva in considerazione solo l’approccio medico e non l’identità personale a prescindere dall’aspetto fisico.
Il decreto legislativo 150 del 2011 ha eliminato l’obbligatorietà dell’intervento chirurgico, lasciando però una grande ambiguità sulla procedura legale del cambio di sesso. È con due sentenze della Corte di Cassazione nel 2015 che le persone possiedono una vera libertà sul proprio corpo e sulla propria identità. “L’imposizione di un determinato trattamento medico” viene condannato come “grave ed inammissibile limitazione del diritto all’identità di genere”. Sta quindi all’individuo, non al Tribunale, decidere se ricorrere all’intervento chirurgico per il cambio di sesso o meno.
LGBT: Un iter travagliato
Il 14 luglio 2020 la Commissione Giustizia della Camera ha invece adottato il testo unificato della proposta di legge legge contro l’omobitransfobia.
Il dibattito su una legge che tuteli dalle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere si è aperto circa 25 anni fa.
Già nel 1996 Nichi Vendola, all’epoca deputato del Partito di Rifondazione Comunista, aveva proposto l’allargamento delle norme antidiscriminatorie della Legge Mancino, includendovi la sanzione di atti di discriminazione basati sull’orientamento sessuale.
Nel 2006, con una risoluzione, il Parlamento Europeo ha chiesto agli Stati membri di “assicurare che le persone LGBT QIA+ vengano protette da discorsi d’odio omofobici e da atti di violenza omofobici e di garantire che i partner dello stesso sesso godano del rispetto, della dignità e della protezione riconosciuti al resto della società”. Nessuna azione è, tuttavia, stata intrapresa in attuazione della risoluzione, fino a una proposta da parte di Ivan Scalfarotto del Partito Democratico nel 2013, anch’essa senza seguito. La proposta prevedeva l’estensione dell’applicazione della legge n. 654 del 13 ottobre 1975 alle discriminazioni motivate dall’identità sessuale della vittima del reato di incitamento alla discriminazione o alla commissione di atti di violenza.
Il 4 luglio 2018 è stata presentata la proposta di legge attualmente in discussione alla Camera. Due anni dopo si è aperta la discussione generale.
Cosa prevede il disegno di legge?
Il disegno di legge è volto a modificare l’articolo 604-bis del Codice penale, che punisce l’istigazione o la commissione di discriminazione e la violenza per motivi etnici, razziali o religiosi. Nell’elenco di atti discriminatori sanzionati rientrerebbero così anche l’istigazione a commettere, o la commissione, di violenza fondati sull’omobifobia o sulla transfobia.
È prevista, poi, un’integrazione dell’art. 604-ter del Codice penale. Il fine è di vietare ogni forma di organizzazione, associazione o movimento o gruppo aventi tra i propri scopi la discriminazione o la violenza fondati sulla transfobia o sull’omobifobia.
La proposta di legge include anche l’istituzione della Giornata nazionale contro le discriminazioni determinate dall’orientamento omosessuale, bisessuale o dall’identità di genere, il 17 maggio. In questa data nel 1990 l’Organizzazione mondiale della sanità ha eliminato l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali.
Prevede inoltre l’istituzione di centri antiviolenza per le vittime di omobifobia e transfobia. Un passo importante contro le discrimanazioni subite dalla comunità LGBT.
Le statistiche sulla società e le comunità LGBT
Un’indagine statistica dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) del 2019 dimostra che il livello di accettazione dell’omosessualità in Italia è tra i peggiori rispetto alla media dei paesi OCSE. Inoltre, solo il 37% degli intervistati voterebbe per una persona transgender o transessuale per ricoprire una posizione politica elevata.
I dati rivelano che queste discriminazioni si ripercuotono sull’ambito lavorativo. A parità di curriculum vitae, i candidati italiani omosessuali hanno circa il 30% di probabilità in meno di essere chiamati per un colloquio di lavoro rispetto ai candidati italiani eterosessuali.
I dati del servizio di supporto telefonico per persone LGBTQIA+, Gay Help Line, mostrano che nel 2019 si sono registrati circa 20.000 contatti per denunciare discriminazioni, aggressioni o allontanamento dalla casa familiare da parte dei genitori.
Discriminazioni che nel 2020, durante l’isolamento da Covid-19, si sono accentuate. Da una nuova ricerca è dimostrato che in media una persona su tre ha subito episodi di discriminazione da parte delle persone con cui vive, come battute offensive, isolamento o violenze. Il 15,7% di entità grave.
Tra i minori di 18 anni, il 77,53% ha problemi di accettazione e supporto da parte delle persone con cui vive. Il 52,08% delle persone trans ha subito episodi di discriminazione medio-gravi e il 20% di entità grave.
La proposta di legge Zan adotta un approccio programmatico per quanto riguarda l’impatto socioculturale. Pratico, invece, nella tutela diretta dalle violenze, tramite l’estensione dell’elenco dei soggetti vulnerabili della Legge Mancino.