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Afghanistan: una FAQ per rispondere a tutte le tue domande

Tempo di lettura stimato: 12 min.

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Per comprendere meglio la complessa situazione in Afghanistan noi di Orizzonti Politici abbiamo deciso di raccogliere le domande più frequenti sul Paese, sui talebani, sulle forze straniere impegnate e i rapporti con gli altri gruppi terroristici e di presentare tutte le risposte in questo articolo.

Ecco qui tutti i punti più importanti del conflitto afgano e degli ultimi avvenimenti:

Cosa sta succedendo a Kabul?

Il 15 agosto 2021 i Talebani hanno preso Kabul, capitale dell’Afghanistan, completando l’offensiva militare iniziata nel maggio 2021. Nelle settimane precedenti, gran parte delle province del Paese erano cadute in rapida successione durante il ritiro delle forze NATO. Lo stesso giorno il Presidente dell’Afghanistan Ashraf Ghani ha lasciato il Paese e la sua fuga ha provocato il definitivo collasso delle Forze armate dell’Afghanistan e la capitolazione di Kabul. La caduta di Kabul ha provocato la fine della Repubblica Islamica dell’Afghanistan, che governava il Paese dal 2004, e la restaurazione dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan da parte dei Talebani. Il repentino abbandono del teatro afgano da parte delle potenze occidentali ha gettato nel panico la popolazione con il conseguente caos che si è materializzato nell’assalto alle piste dell’aeroporto di Kabul. 

Il 17 agosto 2021 i talebani hanno dichiarato di voler concedere un’amnistia generale per tutti i funzionari delle autorità afgane e hanno invitato le donne ad entrare al governo, ma secondo le regole della Sharia, la legge islamica.

Il 26 agosto 2021 c’è stato un attentato nei pressi dell’aeroporto, rivendicato quasi subito dall’ISIS-K, la divisione afgana dell’ISIS, nemica dei talebani e di al Qaida. L’attentato ha causato almeno 170 vittime.

Chi sono i talebani? 

I Talebani (dall’arabo ṭālib, persiano tāleb «studente, ricercatore») sono un movimento nato tra giovani afgani nelle madrasse (scuole islamiche) in Pakistan, fondato nel 1994 dal mullah Mohammed Omar. I Talebani appartengono alla maggioranza pashtun sunnita, che viveva principalmente nel centro sud dell’Afghanistan, al confine proprio con il Pakistan. Questi giovani erano scappati dal Paese durante l’invasione sovietica (1979) e il regime comunista di Kabul e nelle madrasse si radicalizzarono con lo scopo di ritornare nel Paese d’origine, per prendere il potere e trasformare l’Afghanistan in un regime islamico fondamentalista.

Se nel 1994 il movimento nacque da un gruppo di 50 studenti, nel 2018 i Talebani erano il principale gruppo di ribelli in Afghanistan con 60 mila combattenti. Oggi il movimento è coordinato da alcune figure chiave presentate nello schema sottostante.

Figura 1. La leadership talebana oggi.

Dove operano e come sono distribuiti i talebani?

Fin dalla loro nascita, i talebani si sono sviluppati e ingranditi nelle zone del confine tra Afghanistan e Pakistan, dove si trovavano la maggior parte dei campi profughi afgani (durante l’invasione sovietica sono fuggiti in Pakistan più di 400mila cittadini afgani). Queste zone erano fertili per la radicalizzazione di tanti giovani. Durante la guerra civile dell’Afghanistan i talebani sono partiti alla conquista del Paese fino a tenerne il quasi completo controllo nel 2001, a parte le zone nord del Fronte unito dei tagiki, uzbeki e dissidenti pashtun.

Dopo l’invasione americana e la caduta del regime talebano, questi ultimi hanno comunque mantenuto alcune roccaforti nel paese soprattutto nel sud, territorio a maggioranza pashtun – il loro gruppo etnico di appartenenza – e dove avviene la maggior parte delle coltivazioni di papavero da oppio. Grazie allo sfruttamento di queste piantagioni e ai finanziamenti stranieri provenienti soprattutto dal Pakistan, i talebani sono rimasti attivi e in costante guerriglia con il neo governo nazionale afgano, supportato dagli Stati Uniti. Nell’ultima rapida riconquista sono ripartiti dalle province rimaste nelle loro mani per andare a prendersi le città principali (per esempio Herat e Kandahar), per concludere con la capitale Kabul e riottenere il controllo dell’intero Paese.

Cos’è la Sharia? 

In arabo la parola sharia significa  «sentiero, retta via» e come scritto da Asma Afsaruddin, esperta di studi islamici, la sharia è «una serie di principi etici e morali ad ampio raggio» e non un testo scritto. Questo insieme di norme e concetti sono astratti ed estrapolati dai testi sacri, e per il fedele musulmano sono immutabili e perfetti. La sharia è successivamente tradotta in leggi scritte e specifiche (i fiqh) che hanno lo scopo di indicare nel concreto come seguire la retta via. Queste leggi sono scritte dai fuqaha, i giuristi, ed essendo prodotte dall’uomo, diversamente dalla sharia, sono aperte a interpretazioni diverse alle volte anche contraddittorie. Le leggi derivanti dall’interpretazione della sharia sono quindi di natura fallibile e modificabile.

Com’è la situazione delle donne in Afghanistan? 

Durante il governo dei talebani (1996-2001) alle donne era proibito lavorare, uscire di casa senza un uomo di scorta, erano costrette a coprirsi dalla testa fino ai piedi e per le ragazze sopra i dieci anni di andare a scuola. Le donne afgane non avevano assolutamente alcun potere sulle loro vite. Dalla caduta del regime dei talebani, molte persone sono d’accordo sul fatto che la posizione politica e culturale delle donne afgane è migliorata notevolmente. Nei grafici sottostanti è possibile vedere alcuni tra i più importanti cambiamenti culturali di cui hanno beneficiato le donne a seguito della fine del regno talebano nel 2001. La costituzione afgana adottata nel 2004 afferma che “i cittadini dell’ Afghanistan sia gli uomini che le donne hanno pari diritti e doveri davanti alla legge”. Sotto al governo afgano le donne hanno riacquistato il diritto di tornare al lavoro, di non indossare il burqa che copre tutto e sono state nominate anche in posti di rilievo nel governo. Con la caduta di Kabul e la restaurazione del regno talebano si teme che lo status e i diritti delle donne sul loro corpo e la loro educazione possano regredire ai livelli precedenti al 2001.

Cosa sono gli accordi di Doha?

Il 29 febbraio 2020 gli Stati Uniti d’America e il movimento talebano hanno formalmente sottoscritto i termini di un accordo negoziale per porre termine alla più lunga guerra combattuta dagli Stati Uniti.

L’ accordo prevedeva:

  • l’estensione del periodo di “riduzione della violenza”, fino ad un “cessate il fuoco”  permanente
  • il ritiro delle truppe straniere entro 14 mesi (circa 13 mila soldati americani in Afghanistan)
  • l’impegno da parte dei talebani a non offrire ospitalità a gruppi terroristi stranieri
  • l’inizio di un dialogo tra talebani e governo afgano
  • scambio di prigionieri tra Stati Uniti e talebani (sono stati liberati 5 mila prigionieri talebani)

Il trattato di Doha è stato il punto di arrivo di una serie di negoziati inaugurati nel 2018 su iniziativa di Donald Trump, la cui strategia mirava ad instaurare un dialogo bilaterale tra americani e talebani. 

Perché gli Stati Uniti erano in Afghanistan?

Dopo gli attentati alle ambasciate americane in Tanzania e Kenya compiuti dall’organizzazione terroristica Al-Qaeda di Osama Bin Laden, già nel 1998 gli Stati Uniti bombardano alcuni territori dell’Afghanistan, dove Bin Laden si era rifugiato. I talebani offrono protezione al leader di Al-Qaeda e si rifiutano di consegnarlo anche dopo gli attacchi dell’11 settembre. Così, sotto l’amministrazione Bush, il 7 ottobre 2001 gli Stati Uniti intraprendono la loro azione in Afghanistan. La decisione degli Stati Uniti di invadere il Paese si colloca nell’ambito della “guerra al terrorismo” contro il regime dei talebani e Al-Qaeda. 

Perché gli Stati Uniti hanno lasciato l’Afghanistan?

Sia Barack Obama che Donald Trump avevano promesso di riportare le truppe in patria durante i loro mandati, ma l’instabilità del governo afgano e gli attacchi dei talebani hanno portato a continue posticipazioni e, per usare le parole del presidente Biden, si è giunti alla conclusione che “non esiste un buon momento per lasciare l’Afghanistan”. Trump aveva infine stabilito che il ritiro sarebbe stato completato entro maggio 2021, includendo la data anche negli accordi di Doha di febbraio 2020. Le ragioni del ritiro sono molteplici e complesse ma le più importanti, anche ribadite dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden nel suo discorso del 16 agosto 2021, sono:

1) Per gli Stati Uniti Al Qaida e i gruppi terroristici affiliati non rappresentano più una minaccia per il Paese, diversamente, sono emerse nuove priorità e obiettivi di politica estera che necessitano di energie e risorse (impiegate in Afghanistan).

2) I talebani avevano dichiarato che avrebbero attaccato le truppe statunitensi se queste non avessero rispettato gli accordi di Doha. Non procedere con il ritiro significava correre il rischio quasi certo di continuare ad oltranza la guerra più lunga combattuta dagli Stati Uniti e costata risorse e vite umane.

3) L’opinione pubblica era sempre più favorevole al ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Un sondaggio di Morning Consult/POLITICO ad Aprile aveva evidenziato che il 69% degli intervistati era favorevole al ritiro. Durante il ritiro e il ritorno dei talebani a Kabul ad agosto, solo il 49% ha mantenuto la stessa opinione. 

Qual è stato il ruolo dell’Italia nel conflitto? 

L’Italia è in Afghanistan dal gennaio 2002 ma l’impegno militare vero e proprio è cominciato nel 2003 con l’adesione alla missione Isaf (International security assistance force) della NATO. La missione aveva l’obiettivo di sostenere il governo afgano nella guerra contro i talebani e Al Qaeda. Dal 2015 il contingente italiano è stato assegnato ad un’altra missione (Resolute Support) che diversamente dalla precedente non era una missione di combattimento ma di supporto e addestramento delle forze afgane. Tra il 2010 e il 2012 sono stati dispiegati oltre 4 mila soldati l’anno e mediamente sono stati impegnati in missioni operative oltre 2 mila soldati fino al 2014, successivamente, dal 2015 in Afghanistan sono stati presenti meno di mille soldati italiani. Come è possibile vedere nel secondo grafico sottostante l’Italia è stato il 5° paese per presenza militare, dietro a Stati Uniti (circa 100 mila soldati nel 2011), Regno Unito, Germania e Francia.

 

Quanto è costato il conflitto negli ultimi 20 anni per l’Italia? E per gli altri paesi?

Secondo Mil€x, l’Osservatorio sulle spese militari italiane, l’intervento italiano nel conflitto in Afghanistan è costato 8,7 miliardi di euro. Di questi, 840 milioni sono stati destinati per la formazione e la preparazione delle Forze Armate afgane, infatti dal 2015, con la smobilitazione dell’esercito italiano, sono stati spesi 120 milioni l’anno a sostegno delle forze di sicurezza afgane. Come è possibile vedere sotto, quasi un miliardo è stato speso solo nel 2011 (il budget del Ministero della Difesa nel 2011 era di circa 20 miliardi).

Secondo uno studio della Brown University “Costs of War Project”, che ha esaminato le spese di guerra sia in Afghanistan che in Pakistan, gli Stati Uniti hanno speso circa 2 trilioni di dollari per il conflitto in Afghanistan.

Il Regno Unito e la Germania, che erano i Paesi NATO con il maggior numero di truppe in Afghanistan dopo gli Stati Uniti, hanno speso rispettivamente 30 e 19 miliardi di dollari nel corso della guerra. Dal punto di vista del costo umano i morti per la coalizione americana dall’inizio della guerra sono stati più di 3.500, di cui più di 2.400 soldati americani. 

Qual è la posizione dell’Italia oggi?

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha ringraziato le forze armate per le operazioni che hanno permesso di riportare in Italia i nostri concittadini di base in Afghanistan. Ed ha dichiarato che l’impegno dell’Italia è proteggere i cittadini afgani che hanno collaborato con la missione, e che il Paese è al lavoro con i partner europei per una soluzione della crisi, che tuteli i diritti umani, e in particolare quelli delle donne. In un’altra intervista il Presidente Mario Draghi, sempre il relazione alla crisi afgana, ha dichiarato che: “Il futuro per l’Italia è fatto di difesa dei diritti fondamentali, di difesa dei diritti delle donne,di protezione di tutti coloro che si sono esposti in questi anni nella difesa di questi diritti in Afghanistan.” e parlando di collaborazione internazionale “Quest’anno come presidenza del G20 siamo pienamente impegnati nel predisporre, nel costruire una sede appropriata per questa collaborazione”. Ugualmente, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha espresso solidarietà verso gli afgani, ricordando che è necessario restare aperti all’accoglienza e instaurare un dialogo collaborativo per poter gestire il fenomeno migratorio.

Chi sono e cosa succede agli afgani che sono trasferiti in Italia?

L’8 giugno 2021 si è ufficialmente concluso l’impegno militare italiano in Afghanistan e con il ritiro del contingente italiano si è provveduto anche ad evacuare i collaboratori afgani idonei al trasferimento in Italia (interpreti, mediatori culturali, guardie, amministrativi e addetti alle pulizie). I collaboratori sono stati evacuati insieme a relativi parenti di 1° grado , residenti a Herat e Kabul (in totale circa 222) e sono stati inseriti nel Sistema d’Accoglienza e Integrazione (SAI) del Ministero dell’Interno per essere introdotti nella società italiana. Tale attività, denominata Operazione “Aquila”, è ancora in atto e  a seguito della presa di Kabul si è deciso di evacuare un numero maggiore di collaboratori afgani. Infatti, dal 16 al 27 agosto, sono partiti numerosi voli militari italiani per trasferire in Italia gli afgani che negli anni scorsi hanno collaborato con la missione diplomatica e militare. Secondo il sito del governo, al 28 agosto 2021 risultano evacuati e già ospitati nelle strutture per la quarantena circa 3452 afgani. Guardando alle dichiarazioni del Ministro degli Affari Esteri gli afgani evacuati dovrebbero essere solo collaboratori e attivisti, tuttavia come riportato dal Corriere il governo avrebbe deciso di includere nella lista altre persone ritenute a rischio, come le calciatrici dell’ Herat. Tutti i voli stanno atterrando all’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Qui le persone vengono sottoposte al test per il COVID-19 ed accertamenti medici, successivamente, sono segnalate e dotate di visto per rimanere regolarmente in Italia. Al momento gli evacuati sono trasferiti in centri di accoglienza dispersi su tutto il territorio nazionale, le Regioni infatti stanno accogliendo gli evacuati in base a quote concordate.

Che rapporti hanno i Talebani con altri gruppi terroristici in Afghanistan?

Con il recente attentato a Kabul, organizzato dai terroristi dell’ISIS-K (divisione afgana dell’ISIS), si è tornati a parlare dei rapporti tra i diversi gruppi terroristici islamici ed in particolare dei rapporti dei talebani con questi. 

I talebani e i terroristi dello Stato Islamico (ISIS) non sono in buoni rapporti da anni. Non a caso, l’attentato terroristico a Kabul voleva probabilmente ledere anche la credibilità dei talebani e mostrare la loro incapacità di garantire ordine e sicurezza, oltre che colpire gli occidentali e i civili afgani intenzionati a lasciare Kabul. Tra i due gruppi ci sono differenze ideologiche (secondo l’ISIS i talebani applicano troppo poco rigidamente la legge islamica) ma anche di aspirazioni politiche (l’ISIS vuole creare un califfato in tutta l’Asia meridionale, mentre i talebani vogliono crearsi un loro emirato in Afghanistan). Addirittura, negli accordi di Doha i talebani avrebbero concordato di combattere le altre presenze locali dell’ISIS sul territorio. 

I talebani ed il gruppo di Al Qaeda invece hanno rapporti più amichevoli. Se a inizio millennio i talebani avevano offerto rifugio ai terroristi coordinati da Bin Laden, poi i combattenti dei due gruppi si sono uniti e fusi, mentre altri, disillusi, si sono uniti allo Stato Islamico. Quindi i due gruppi sono rimasti vicini e Al Qaeda ha anche sostenuto i talebani durante gli ultimi 20 anni. Però, negli accordi di Doha anche Al Qaeda rientra tra i gruppi che i talebani devono ostacolare nello spargere ancora terrore. 

A cura di Giovanni Polli, Veronica Saletti e Agnese Stracquadanio

*Uomini in divisa militare in Afghanistan. [crediti foto: Sohaib Ghyasi, via Unsplash]
Redazione
Orizzonti Politici è un think tank di studenti e giovani professionisti che condividono la passione per la politica e l’economia. Il nostro desiderio è quello di trasmettere le conoscenze apprese sui banchi universitari e in ambito professionale, per contribuire al processo di costruzione dell’opinione pubblica e di policy-making nel nostro Paese.

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