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“L’Europa si flessibilizzi e aiuti i Paesi colpiti dal virus”

Tempo di lettura stimato: 5 min.

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L’emergenza sanitaria, in Europa ma non solo, è in questi giorni legata a doppio filo con quella economica. La presentazione del Governo Conte di un decreto da 25 miliardi è un chiaro segnale che il problema non può essere sottovalutato. Per capire gli effetti che il coronavirus sta avendo sull’economia italiana e i suoi possibili rimedi Orizzonti Politici ha intervistato Riccardo Puglisi, Professore associato di Economia Politica presso il dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pavia.

Professore, come giudica le ultime misure prese in materia economica dal governo?

Complessivamente buone. Certo, invece di stanziare 25 miliardi, pari all’1,5% del Pil, si poteva chiedere di stanziarne dieci in più, arrivando così al 2% del Pil; ma ho l’impressione che l’esecutivo voglia ancora tenersi qualche colpo per il futuro.

Nel frattempo, però, fanno discutere le indennità di 600 euro date agli autonomi giudicate di un importo troppo esiguo.

Sicuramente non bastano 600 euro, ma è necessario anche comprendere che siamo in una situazione emergenziale e questo significa che ci si muove con misure a pioggia che ovviamente non possono tappare tutti i buchi. Però finora credo che ciò che si poteva fare è stato in gran parte fatto, come la decisione di sospendere il pagamento delle tasse e di intervenire in economia anche e soprattutto per tutelare il diritto alla salute dei cittadini.

Eppure proprio sul diritto alla salute è in atto uno scontro fra governo e operai che vorrebbero, come altre categorie, maggiori tutele se non proprio evitare di andare al lavoro.

Se dal punto di vista sociale sono più che favorevole al lockdown, e cioè a bloccare il più possibile qualsiasi contatto, in economia sono più cauto: non si può bloccare totalmente l’Italia perché questo significherebbe far sprofondare il Paese nel panico. C’è inoltre il tema della riconversione industriale ad hoc per fronteggiare quest’emergenza e cioè per produrre più macchinari sanitari. Ciò detto, si devono ovviamente garantire aiuti a chi oggi va al lavoro tutti i giorni: e non parlo semplicemente di aiuti economici, ma soprattutto di assistenza sanitaria che permetta ai lavoratori di operare in sicurezza.

Guardando alle misure economiche in altri Paesi, ha fatto scalpore la notizia dei 550 miliardi che la Germania inietterà per agevolare le sue imprese tramite la banca pubblica Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW). Sono numeri possibili anche in Italia e può la Cassa Depositi e Prestiti giocare un ruolo simile a quello della Kfw?

Se la Germania può oggi permettersi questi numeri, lo deve al suo rapporto debito\Pil al 61%, la metà di quello italiano, che purtroppo l’anno scorso era al 134%. Va comunque detto che la priorità per ogni governo deve essere quella di sostenere la propria economia e in questa funzione Cdp può giocare un ruolo importante, anche se più limitato rispetto a quello di KfW. Penso soprattutto all’aiuto alle imprese in difficoltà dove Cassa Depositi e Prestiti può sicuramente essere utile.

A molti sembra un ritorno allo statalismo.

Da economista liberale non ho problemi a dirlo: in situazioni come queste lo Stato deve intervenire in economia e fare tutto il possibile per garantire il diritto alla salute. Il ricorso al debito per finanziare la lotta al virus è in questo momento sacrosanto e questo deve essere chiaro a tutti.

Le parole della scorsa settimana della Presidente della Bce Christine Lagarde non sembravano però molto accomodanti sul tema. È stato un errore dire “non spetta alla Bce ridurre lo spread”?

Se fossi a scuole lo barrerei come errore blu, il più grave. È stato uno scivolone sicuramente nella forma, perché si è lasciato intendere una mancanza di volontà da parte della Bce ad aiutare i Paesi colpiti da questa emergenza. Su questo vanno comunque lette positivamente le critiche arrivate da tantissimi esponenti anche non italiani e il tentativo di mettere una pezza da parte di membri della Bce stessa. Va detto che Christine Lagarde viene dal Fondo Monetario Internazionale e deve probabilmente ancora comprendere quanto ogni parola detta da Presidente di una banca centrale sia da soppesare.

Questo quindi nella forma. Nella sostanza invece?

Lì l’errore è stato a metà. Se da una parte dicendo quelle frasi Lagarde ha prestato il fianco al governatore della Bundesbank Jens Weidmann, da sempre contro una politica permissiva verso che i Paesi che fanno molto deficit, dall’altra anche lo stesso Mario Draghi, suo predecessore alla guida della Bce, aveva detto che la politica monetaria non può sostituirsi a quella fiscale degli Stati. Una teoria economica accettata da gran parte degli economisti, che non deve però lasciare dubbi sulla necessità da parte della Bce di aiutare, tramite politica monetaria, i Paesi che si indebitano oggi per contenere il virus.

Anche se rientrato, lo scivolone di Lagarde non ha sicuramente aiutato l’immagine dell’Europa in Italia. Mentre la Cina, con l’invio di medici e macchinari, è sempre più popolare fra gli italiani. Non corriamo il rischio di svegliarci cinesi alla fine questa epidemia?

Non dimentichiamoci che i cinesi ci aiutano non solo per generosità, ma anche per far dimenticare il ritardo nella comunicazione al mondo della circolazione del virus. Ciò detto, l’Unione Europea deve in questo momento compattarsi e confrontarsi da pari a pari con Pechino, collaborando senza mai diventare passiva. Credo inoltre che oggi l’Europa stia già aiutando l’Italia. Già la sola scelta della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen di parlare italiano nel suo messaggio rivolto alla nostra nazione è un segno che non siamo soli.

Una mossa sicuramente intelligente dal punto di vista empatico. Ma nel concreto come ci sta aiutando l’Europa?

Penso all’allentamento e alla probabile sospensione del Patto di Stabilità per permettere agli stati colpiti di aiutare la propria economia con il debito. Inoltre credo che per fronteggiare questa minaccia l’Europa debba imporsi coordinando, come già sta facendo in alcune occasioni, le azioni dei vari Stati per tutelare tutti i popoli che ne fanno parte. In quest’ottica servono oggi più soldi a bilancio europeo per permettere un maggiore intervento nell’economia da parte delle istituzioni europee.

L’Europa è pronta per consentire e consentirsi una così alta flessibilità?

Se c’è la volontà politica si può fare tutto. Sul Mes, per esempio, credo sia più che auspicabile che l’Unione Europea si flessibilizzi e aiuti i Paesi colpiti permettendo loro di accedere a un fondo di aiuto senza le dure misure che oggi il meccanismo comporta. L’economia è una scienza umana, non è scritta sulla pietra e tiene conto delle situazioni che si presentano. Di fronte a un’emergenza di questo tipo è il momento di essere solidali e lottare insieme.

 

 

Giunio Panarelli
Nato a Bologna, ma cresciuto salentino, frequento il corso di laurea magistrale in Politics and Policy Analysis in Bocconi. Da febbraio 2020 sono caporedattore di Oripo quindi se vi piace quello che leggete è merito mio se non vi piace è colpa degli autori. Nel 2018 è uscito per Edizioni Montag il mio primo libro "La notte degli indicibili". Un chiaro segno della crisi dell’editoria italiana.

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