Dwight D. Eisenhower
Capo di Stato durante alcune delle fasi più delicate della Guerra fredda, quello di Dwight D. Eisenhower è il tipico esempio di presidente che ha agito il meno possibile per fermare la segregazione e le disparità razziali. Eisenhower sosteneva che le persone di colore dovessero possedere gli stessi diritti politici del resto degli americani, ma ciò non significava che per lui gli afroamericani fossero uguali ai bianchi. In tal senso affermò: “uguaglianza sul piano economico e politico non significa che un negro possa corteggiare mia figlia”.
L’ex generale inizialmente non appoggiò la sentenza “Brown v. Board of Education” del 1954, che dichiarava incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole: un anno prima aveva detto al Giudice Capo Warren che comprendeva il fatto che i bianchi del sud non volessero che le loro bambine fossero sedute a scuola al fianco di “qualche grosso ragazzo nero”. La sentenza alla fine passò, anche grazie ad un parziale passo indietro di Eisenhower, che nominò a capo della commissione giudicante il già citato Warren, favorevole alla sentenza, il quale fu decisivo per raggiungere una maggioranza. Fu proprio a seguito del caso Brown che nacque il Movimento per i diritti civili, con all’interno figure cruciali per la parità dei diritti come Martin Luther King.
Lyndon B. Johnson
Prima dell’elezione di Barack Obama, tra i Presidenti che insieme a Lincoln erano stati considerati tra i più determinanti per il destino degli afroamericani spiccava in prima fila il nome di Lyndon B. Johnson. L’ex vice di John F. Kennedy coniò il concetto di “Great Society”, un piano di riforme con l’obiettivo di eliminare povertà e ingiustizie razziali.
Johnson è noto soprattutto per aver firmato, nel 1964, il Civil Rights Act, una legge (voluta dal predecessore Kennedy) che consentì agli Stati Uniti di compiere un enorme passo in avanti sul piano dei diritti civili. In particolare, tale legge vietò di impedire l’accesso a strutture pubbliche per motivi di etnia, religione o sesso, che ci fosse segregazione razziale nelle scuole e che i datori di lavoro discriminassero per i motivi sopra descritti i loro dipendenti. Inoltre, istituiva un servizio incaricato di supportare le persone coinvolte in controversie sulla discriminazione.
L’anno successivo, Johnson firmò il Voting Rights Act, legge che proibiva la discriminazione razziale nel voto, garantendo il diritto di voto alle minoranze in tutto il Paese. Questa legge, firmata in presenza di vari leader dei movimenti per i diritti civili, tra i quali anche Martin Luther King, garantiva protezione anche ai cittadini degli Stati Uniti che non parlavano la lingua inglese.
Ronald Reagan
Presidente degli Stati Uniti per quasi tutti gli anni ’80 del secolo scorso e figura molto popolare, anche in virtù della precedente professione (quella di attore), Ronald Reagan non può certo essere inserito nella lista dei presidenti “amici” della comunità afroamericana. Durante la sua amministrazione le disuguaglianze di reddito tra bianchi e neri aumentarono di molto rispetto ai livelli precedenti, con il reddito medio delle famiglie di colore che, durante il primo anno di presidenza del repubblicano, diminuì del 5,2% rispetto all’anno precedente.
Reagan proseguì la battaglia di Nixon contro la droga, ma la combatté in maniera molto più dura, determinando incarcerazioni di massa di afroamericani e ispanici. Tra fine luglio ed inizio agosto dello scorso anno, inoltre, vari giornali americani hanno riportato l’intercettazione di una conversazione telefonica del 1971 tra Reagan (ai tempi Governatore della California) e l’allora presidente Nixon, in cui il primo chiama i delegati africani dell’Onu “scimmie a cui risulta ancora scomodo portare le scarpe”, tra le risate del secondo.
George H. W. Bush
Successore di Reagan e padre di George W. Bush (presidente dal 2001 al 2009), il quarantunesimo Presidente Usa venne eletto grazie ad una campagna basata in parte anche su un violento spot tv riguardante la vicenda di Willie Horton, un assassino di colore che aveva violentato una donna bianca durante un weekend di libertà vigilata. La strumentalizzazione di tale episodio comportò numerosissime critiche a Bush da parte della comunità afroamericana, e sembra che a distanza di anni l’ex Presidente se ne sia pentito, tanto che personalità a lui vicine affermano che lo spot su Horton costituisca il suo più grande rimorso.
Nonostante la sua ideologia conservatrice e alcune controversie come questa, non si può dire che Bush sia stato del tutto avverso agli afroamericani: a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 sostenne il Fair Housing Act, firmato da Lyndon B. Johnson una settimana dopo l’assassinio di Martin Luther King. Nel 1991 denunciò un ex leader del Ku Klux Klan candidato a Governatore della Louisiana, accusandolo di essere un razzista e un ciarlatano; nominò inoltre il generale Colin Powell Presidente dei Capi di Stato maggiore congiunti dell’esercito, il primo afroamericano.
Barack Obama
Gli afroamericani hanno dovuto attendere 220 anni e 44 presidenti prima di avere un loro vero e proprio rappresentante alla Casa Bianca, ma nel 2009 il momento è finalmente arrivato. Primo presidente afroamericano, primo multirazziale, primo non bianco e primo a essere nato nello Stato federato delle Hawaii, la sua elezione ha ridato grandissime speranze alla comunità afroamericana.
Durante la presidenza Obama il numero di studenti afroamericani diplomati al liceo ha raggiunto il massimo storico. Lo stesso vale per quanto riguarda l’aspettativa di vita alla nascita degli afroamericani, ed è diminuito il tasso di incarcerazione dei cittadini afroamericani, che ha toccato il livello più basso da oltre vent’anni.