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“Ai politici dico: più etica nelle istituzioni”. L’intervista a Pietro Grasso

Tempo di lettura stimato: 6 min.

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La missione di una vita

Leggendo la biografia del senatore Pietro Grasso, ex magistrato e già Procuratore nazionale antimafia e Presidente del Senato, balza subito all’occhio una stranezza. Nasce a Licata, in provincia di Agrigento, il 23 dicembre 1944. Ma viene dichiarato all’anagrafe il primo gennaio 1945: un’idea della nonna, che ancora sconvolta dalla guerra, aveva avuto la premura di fargli “guadagnare” un anno per paura di una possibile futura chiamata alle armi. Quella guerra, quel conflitto armato tra le potenze mondiali, fortunatamente, non arrivò mai. Ma questo non ha impedito a Pietro Grasso di portare avanti la propria guerra personale in quarant’anni di magistratura: quella a Cosa Nostra.

Lo scorso venerdì 29 novembre, l’ex magistrato è stato ospite dell’Università Bocconi per l’evento “Quel fresco profumo di libertà”, organizzato dall’associazione studentesca Res Ethica. In quella sede, il senatore Grasso è stato protagonista di una conversazione con gli studenti sul suo passato di magistrato e, più in generale, sulla legalità. Prima dell’incontro con i tanti presenti, Pietro Grasso si è anche gentilmente reso disponibile per pochi quesiti, riguardanti sia la sua storia personale, che alcuni argomenti di cronaca contemporanea.

Alle radici di Pietro Grasso: la Sicilia degli anni ’60

La prima domanda, come si conviene, riguarda l’origine di Pietro Grasso e della sua vicinanza alla legalità e alla lotta alla criminalità organizzata. Una panoramica di quella Sicilia che ha provocato, in un giovane di Palermo, sentimenti e reazioni che l’hanno condotto a un lungo servizio in magistratura e nella lotta alla mafia.

Negli anni della ricostruzione, la Sicilia era politicamente divisa dal resto d’Italia. Nella percezione di molti siciliani, la politica “romana” era sentita quasi come oppressiva. In che modo questo ha inciso sulla diffusione del fenomeno mafioso?

“La Sicilia ha un’autonomia regionale derivante da uno statuto emanato prima della Costituzione. C’era un movimento indipendentista che addirittura voleva staccare la Sicilia dall’Italia e farla diventare una delle stelle della bandiera americana, dopo lo sbarco alleato. E questo movimento ha fatto sì che la Regione avesse un’autonomia molto profonda. C’è una percezione di una sicilianità. Da un punto di vista generale però quest’autonomia e quest’indipendenza non hanno portato i frutti che si sperava. Nei primi anni c’è stata una connessione molto stretta tra Cosa Nostra e l’elemento politico locale. Un connubio che non ha certo favorito lo sviluppo della Sicilia” (allude ai tempi dell’ex eurodeputato Dc Salvo Lima e dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, ndr).

“C’è stata poi una classe dirigente che non ha saputo portare avanti lo sviluppo dell’isola nei campi in cui invece avrebbe potuto eccellere. L’agricoltura, per dirne uno; la Sicilia, ai tempi dell’Impero Romano, era il primo granaio d’Italia. E ancora il turismo, la cultura, le eredità del mondo greco-romano e di quello arabo-normanno”.

Venendo a oggi, ritiene che questa percezione di “indipendenza” sia cambiata? L’elemento mafioso, così forte in Sicilia, ha avvicinato Palermo e Roma o le ha allontanate?

“Ci sono stati dei momenti storici in cui c’è stato un capovolgimento della situazione, un cambiamento strutturale. Il primo risale all’epoca del Maxiprocesso, che ha rotto il connubio mafia-politica e ha iniziato a mostrare il vero volto della mafia, mostrandone tanto le caratteristiche “criminali” quanto la natura di fenomeno sociale, economico e politico. Sotto questo aspetto c’è stato un periodo positivo, che però è stato funestato dalle stragi come quelle in cui hanno perso la vita i giudici Falcone e Borsellino”.

“In reazione alle stragi, poi, è nato un vero e proprio movimento culturale, in cui i giovani erano protagonisti. Abbiamo assistito alle catene umane che legavano il palazzo di giustizia con casa di Falcone. Abbiamo assistito alle società delle lenzuola, che rappresentavano un abbandono dell’omertà; le lenzuola dicevano che quelle case erano abitate da persone che dicevano no alla mafia. Poi però questa reazione, questo movimento, è andato scemando, anche perché la mafia ha utilizzato una strategia diversa: quella della sommersione, dell’invisibilità, che ha dato l’impressione che il fenomeno si fosse fermato”.

La Corte Costituzionale e l’ergastolo ostativo

Tralasciando per esigenze di brevità la storia professionale di Pietro Grasso, dall’omicidio  Mattarella al Maxiprocesso, alla Procura Nazionale Antimafia, si torna al presente.
Italia, autunno 2019. La Corte Costituzionale, al centro dell’attenzione dopo l’importante sentenza sul fine vita, torna a dividere l’opinione pubblica. Lo scorso 23 ottobre, infatti, la Corte si è espressa sulla legittimità del c.d. “ergastolo ostativo”, previsto dall’art. 4 bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario. L’Ufficio stampa della Consulta ha reso noto che la Corte ha ritenuto illegittima la previsione secondo cui, per i colpevoli di alcune categorie di reati – tra cui i crimini di mafia – l’unica modalità di accesso ai permessi premio era costituita dalla collaborazione con la giustizia.

Lei si è già detto perplesso su questa decisione della Corte. Quali sono i motivi di questo dissenso?

“Ritengo che la comprensione del fenomeno sia più facile per gli italiani che hanno vissuto questo pericolo costituito dalla criminalità organizzata” (si riferisce alla sentenza con cui, lo scorso giugno, la Corte EDU aveva anticipato la decisione della Corte Costituzionale e condannato l’Italia per l’incompatibilità dell’ergastolo ostativo con l’art. 3 della CEDU, ndr).

“Quella norma nasceva da una massima d’esperienza frutto delle testimonianze acquisite durante tanti processi e indagini. Chi entra in un’organizzazione criminale come Cosa Nostra ne può uscire con la morte o collaborando con la giustizia, quindi passando dalla parte del nemico. Finché non verrà scardinato questo schema, sarà difficile pensare a un ravvedimento. Finché non cambierà questa visione dello Stato, sarà difficile raggiungere la rieducazione di cui parla la Costituzione. Adesso c’è stata questa breccia aperta dalla Corte Costituzionale, staremo a vedere le motivazioni” (la Corte, infatti, in attesa del deposito della sentenza, si è pronunciata solo con un comunicato stampa, ndr).

Cosa cambia in concreto dopo la decisione della Corte?

“Prima costituiva uno scudo per i giudici. Tant’è che l’eliminazione dell’ergastolo ostativo era uno dei punti del “papello” di richieste che Riina pretendeva dallo Stato per fermare le stragi. Con la decisione della Consulta, si passa alla discrezionalità. Quella che era una presunzione assoluta, diventa relativa, e pertanto potrà essere messa in discussione caso per caso dal magistrato di sorveglianza. Con tutti i rischi di pressioni e intimidazioni che ne derivano”.

È giusto che una Corte decida questioni così importanti e così sentite anche con un solo voto di scarto? Non sarebbe forse necessario un intervento del Parlamento per dare maggior legittimità a simili pronunce?

“La Corte decide un’interpretazione costituzionale della norma. Sta poi al legislatore scegliere come disapplicare la norma o come modificarla. Per esempio, si potrebbero tipizzare una serie di elementi, di presupposti, che il magistrato di sorveglianza deve verificare prima di concedere benefici ai detenuti”.

Per rilanciare il circuito democratico

A chiusura dell’intervista al senatore Grasso, un’ultima domanda legata al suo presente in politica più che al passato in magistratura. A dispetto degli orrori e dei fenomeni degenerativi che ha dovuto affrontare nel corso della sua vita, Grasso si congeda con un messaggio propositivo. Una sintesi delle idee di questo fedele servitore dello Stato e dello spirito che ha animato il suo incontro con gli studenti, che merita le righe finali di quest’intervista. È innegabile una certa diffidenza dell’opinione pubblica italiana sia nei confronti della magistratura che della politica. A cosa è dovuta? Come fare a restituire ai cittadini la fiducia nello Stato?

“C’è un problema molto grave che ha natura etica. Bisognerebbe fare ogni giorno un appello all’etica, alla legalità, all’onestà. Per quanto le leggi possano essere ben fatte, c’è sempre chi riesce ad aggirarle e a creare sistemi di corruzione. Reti di interesse che danneggiano il Paese e il suo sviluppo, specie le imprese che operano nella legalità. Quindi sotto questo profilo, si auspicherebbe un ritorno a una maggiore etica e moralità”.

“Le istituzioni devono essere rappresentate da uomini che siano un esempio di correttezza, trasparenza, responsabilità, coraggio e competenza. Poi, naturalmente, è necessaria la collaborazione della base, dell’individuo, che deve seguire questi esempi e partecipare alla lotta per la legalità”.

 

Luigi Tarricone
Salento me genuit. Classe 1997, con il corpo a Milano ma il cuore a Roma, sponda giallorossa. Studio giurisprudenza all’Università Bocconi, sognando un futuro in magistratura o nelle istituzioni politiche. Polemico di professione, tennista per passione, cuoco per disperazione (dei miei coinquilini).

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