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Terrorismo e guerre civili: due facce della stessa medaglia

Tempo di lettura stimato: 7 min.

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Negli ultimi decenni, episodi di terrorismo e guerre civili si sono intensificati in maniera parallela. Le guerre civili non sono diventate solo più numerose, ma anche sanguinose: dal 1945 al 1999 hanno causato 16 milioni di vittime, rispetto ai 3 milioni delle guerre convenzionali tra Stati1. Allo stesso modo, gli attacchi terroristici in Europa e Nord America sono raddoppiati dal 20162 e l’impatto economico nel 2017 è stato maggiore di 52 miliardi di dollari3. L’instabilità domestica che hanno generato ha avuto ripercussioni sullo scenario internazionale, portando la probabilità di guerre tra Stati al livello più alto dalla guerra fredda. Tuttavia, la maggior parte degli studi analizza queste due forme di violenza separatamente, in modo tale da evitare le complessità generate dalla loro interazione. Nonostante questi due fenomeni si distinguano per tattiche, strategie e target, è molto più difficile però distinguerne le cause. Questo senza considerare il fatto che spesso si verificano simultaneamente, tanto che il 44% delle attività terroristiche sono state perpetrate durante una guerra civile4. Di conseguenza, trattarli come due fenomeni che si escludono a vicenda risulta inevitabilmente in una semplificazione della realtà che non beneficia né politici né legislatori che hanno a cuore la sicurezza dei propri cittadini e mondiale. Ma in che senso possiamo considerarli dei fenomeni correlati?

Cause comuni

Innanzitutto, possiamo enumerare alcune cause che li accomunano. Per quanto riguarda motivazioni propriamente politiche, più ricercatori concordano che l’instabilità istituzionale è una delle principali cause di violenza secondo una relazione non lineare. Ciò vuol dire che episodi di violenza saranno meno probabili in una situazione di democrazia ben consolidata, come gli stati europei che promuovono una pacifica risoluzione di conflitti. In misura leggermente minore, anche un’autarchia ferrea, come l’Arabia Saudita, è in grado di reprimere rivolte con efficacia e quindi disincentiva i cittadini a ricorrere alla violenza. Al contrario, una cosiddetta “anocrazia” o semidemocrazia come il Rwanda ha una natura contraddittoria, in parte aperta ed in parte oppressiva, che fornisce più finestre di opportunità per episodi di violenza. Questo fa sì che questi regimi siano l’ambiente ideale per la nascita di cellule terroristiche e, allo stesso tempo, le guerre civili siano quattro volte più probabili5. Inoltre, episodi di violenza sono più probabili anche a seguito di un cambiamento di regime, indipendentemente dalla tipologia. 

Per quanto riguarda cause prettamente sociali, la diversità etnica gioca sicuramente un ruolo fondamentale. Infatti, è più probabile che una guerra civile sia iniziata da un gruppo etnico. Allo stesso modo, il cosiddetto “terrorismo etnico” consiste in episodi di terrorismo (perlopiù domestico) motivati da considerazioni etniche. Come mai? È facile che una minoranza provi rancore nei confronti del governo principalmente per tre motivi. Innanzitutto, l’etnia al potere spesso adotta leggi e politiche che favoriscono il proprio gruppo alle spese degli altri. In secondo luogo, i gruppi etnici sono spesso concentrati in alcune zone, cosa che non favorisce l’assimilazione con il resto della società ma permette di trasmettere la propria cultura e tradizioni, compresi i sentimenti ostili nei confronti delle altre etnie. Infine, prima o durante un qualsiasi conflitto, ogni accordo sarà più difficile da mantenere per mancanza di fiducia tra le due parti.

Dinamiche

È chiaro quindi che molti episodi di violenza, sia nel caso di guerre civili che di terrorismo, possano avere le stesse motivazioni. Ma quali dinamiche li caratterizzano? Infatti le guerre civili, a differenza del terrorismo, sono definite dalla presenza di una disputa territoriale, un maggiore coinvolgimento della popolazione ed una violenza più devastante. Però, anche se secondo la definizione i ribelli che combattono le guerre civili sono diversi dai terroristi, a volte questi attori possono coincidere. Infatti, può accadere che terroristi prendano parte ad una guerra civile per raggiungere lo stesso obiettivo: per esempio, il gruppo terroristico Al-Qaeda è stato considerato da Berger, uno dei massimi esperti nel campo, quale un “movimento combattente ad ampio raggio”, non propriamente terrorista. Secondo lui, tutti i gruppi terroristi jihadisti sono allo stesso tempo organizzazioni insorgenti. Viceversa, gruppi ribelli possono utilizzare tattiche tipiche del terrorismo per iniziare le ostilità o prolungarle, come nel caso dell’IRA, che fu attiva nell’Irlanda del Nord. Esiste quindi un’area di intersezione.

Secondo Findley e Young (2012), questi due fenomeni possono essere correlati in tre modi diversi: il terrorismo può accadere contemporaneamente ad una guerra civile, ma può anche precederla o seguirla. Diventa quindi fondamentale sapere se episodi di terrorismo hanno il potenziale di far scoppiare una guerra civile. In particolare, le cellule terroristiche hanno a propria disposizione diverse strategie: possono voler provocare l’inizio di una guerra civile, creare attrito, intimidire la popolazione o il governo oppure far saltare un trattato di pace alla fine di un conflitto6.

Il caso del Rwanda

Il genocidio del 1994 perpetrato in Rwanda figura tra gli esempi più controversi e non ancora confermati di questa correlazione. Infatti, il genocidio dei Tutsi ad opera della minoranza Hutu è stato il famigerato risultato di una guerra civile tra queste due etnie, considerata tra gli episodi più sanguinosi della storia africana del ventesimo secolo. Le tensioni etniche risalgono agli anni Venti, quando i colonizzatori belgi crearono in Rwanda una distinzione tra gli Hutu, con tratti fisici africani, e i Tutsi, più simili agli europei, di cui promuovevano la superiorità. La rivoluzione del 1959 terminò con l’indipendenza del Rwanda nel 1962. La monarchia governata dai Tutsi fu sostituita da una repubblica gestita dagli Hutu, una semidemocrazia secondo l’indice Polity IV. Molti Tutsi fuggirono in Paesi circostanti per scappare dalla discriminazione e fondarono in Uganda l’armata nota come Rwandan Patriotic Front (RPF), comandata da Kagame (l’attuale presidente del Rwanda). Come previsto, l’instabilità politica di questa anocrazia, visti anche i numerosi cambiamenti di regime, e le tensioni sociali portarono allo scoppio della guerra civile nel 1990, quando il RPF invase il Rwanda.

Le pressioni della comunità internazionale convinsero il presidente (Hutu) Habyarimana a firmare un trattato di pace nel 1993, gli “Accordi di Arusha”, per garantire una divisione equa dei poteri tra le due etnie. Tuttavia, la mancanza di fiducia tra i due gruppi etnici fece sì che l’accordo non potesse essere implementato come previsto, tanto che gli Hutu continuarono a governare ufficiosamente il Rwanda. Il 6 aprile 1994 l’aereo dove viaggiava Habyarimana di ritorno dal Burundi fu attaccato, non lasciando superstiti. Questo ha tutti i requisiti per essere considerato un episodio di terrorismo: è stato infatti l’uso strategico della violenza da parte di un gruppo militare contro il governo per conseguire obiettivi politici, ideologici e sociali. Inoltre, è considerato la goccia che fece traboccare il vaso e diede il via al genocidio perpetrato dagli Hutu nei confronti dei Tutsi il giorno seguente. Perciò, un singolo episodio terroristico ha avuto una doppia valenza: innanzitutto, è riuscito a sabotare il trattato di pace firmato alla fine della guerra civile. Inoltre, ha provocato un vuoto di potere ed una risposta sproporzionata da parte degli Hutu, che si sono sentiti intitolati a combattere i Tutsi. 

Tuttavia, l’identità degli assassini è ancora sconosciuta. Secondo la versione ufficiale del governo, ora guidato da un Tutsi, l’attacco è stato perpetrato da estremisti Hutu contrari agli Accordi di Arusha. Eppure, come confermato da alcune indagini della BBC, sarebbe stato Paul Kagame stesso ad ordinare quello che sembra a tutti gli effetti un attacco terroristico. Se fosse veramente così, ancora una volta ci troveremmo di fronte ad una situazione in cui i ribelli hanno adottato delle tattiche terroristiche nel corso di una guerra civile, per provocare la controparte. 

Infatti, tra l’aprile ed il luglio del 1994, i leader Hutu uccisero tra i 300 mila ed i 500 mila Tutsi, poi “salvati” dal RPF come recita la versione ufficiale. In realtà, il RPF nel frattempo conquistava sempre più territori e avanzava nel cuore del Rwanda, uccidendo probabilmente molti più Hutu,  stimati tra i 500 mila ed i 700 mila. Infatti, i risultati di uno studio di Davenport e Stam (2006) mettono in dubbio la versione ufficiale, affermando che il genocidio non fu l’unico motivo per cui il RPF scese in campo a combattere: questa armata proveniente dall’Uganda avrebbe sempre avuto l’obiettivo principale di conquistare il Rwanda. E c’è riuscita, visto che Paul Kagame è stato recentemente eletto presidente per il terzo mandato consecutivo. 

Per concludere, questo caso ci insegna come tattiche di terrorismo e guerre civili possano coesistere ed essere combinate strategicamente per raggiungere un determinato obiettivo. E come mettere in dubbio il senso comune sia utile per rivelare i dietro le quinte degli episodi della nostra storia.

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1 Fearon, James D., and David D. Laitin. 2003. “Ethnicity, Insurgency, and Civil War.” American Political Science Review97 (1): 75-90.

2 “Political Risk, Terrorism and Political Violence Maps – 2019: Aon.” 2019. Accessed August 23, 2019.

3 “Global Terrorism Index 2018: Measuring the Impact of Terrorism”. 2018. Institute for Economics & Peace, Sydney.

4 Rød, Jan Ketil. 2003. “ViewConflicts: Software for Visualising Spatiotemporal Data on Armed Conflicts.” Paper prepared for presentation at the Joint Sessions of Workshops European Consortium for Political Research, Edinburgh, UK. 28. March 2. April.

5 Hegre, Håvard. 2001. “Toward a Democratic Civil Peace? Democracy, Political Change, and Civil War, 1816-1992.” American Political Science Review 95 (1): 33-48.

6 Kydd, Andrew, and Barbara Walter. 2006. “The Strategies of Terrorism.” International Security 31(1): 49–80.

Francesca Squillante
Nata a Venezia 22 anni fa, mi sono laureata in Scienze Politiche all’Università Bocconi ed ora mi metto alla prova con una doppia laurea Bocconi-Sciences Po in Scienze Politiche e Affari Europei. Esistono tre modi per imparare: leggere, viaggiare e far parte di OriPo.

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