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Mancano medici: il problema è il numero chiuso?

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“Coronavirus, non cambia il calendario dei test”: così l’11 marzo il Corriere online riportava la notizia sulle date delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato nazionale. Nell’attesa del futuro decreto che stabilirà, oltre ai contenuti e alle modalità delle specifiche prove, il numero di posti disponibili per le immatricolazioni 2020/2021, sempre il Corriere, nel focus dedicato a Medicina e Odontoiatria, rilancia subito sull’attualità: “vista l’emergenza sanitaria il ministero autorizzerà quest’anno i 15 mila posti attesi già l’anno scorso o si limiterà a un leggero rialzo rispetto agli 11.500 del 2019?”

Come ogni anno, a decisioni prese, s’infiamma il dibattito sul meccanismo dell’accesso programmato, che, radicalizzato, arriva a mettere in discussione l’esistenza stessa di barriere all’ingresso. È bene però fare chiarezza sulla famigerata carenza di medici in Italia, soprattutto ora che la questione, generalizzata, diviene un ulteriore motivo di paura e panico. Dati alla mano, è facile rintracciare il vero problema. Per molti potrebbe essere una sorpresa, ma non si tratta del numero chiuso.

La storia del test a numero chiuso

L’accesso accademico programmato a livello nazionale viene istituito a tutti gli effetti con l’entrata in vigore della Legge 264/1999, il 22 agosto dello stesso anno. All’articolo 1 è stabilita la disciplina dell’accesso ai corsi di laurea di medicina e chirurgia, medicina veterinaria, odontoiatria e protesi dentaria, architettura, scienze della formazione primaria, nonché a quelli che allora erano i “corsi di diploma universitario […] concernenti la formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione”, ovvero le attuali professioni sanitarie, dopo la riorganizzazione accademica ex D.M. 270/2004.

Sicuramente, è difficile ricavare ragioni e intenzioni del provvedimento se non si conoscono almeno questi due antefatti: in primis, che la Legge “Provvedimenti urgenti per l’Università” 910/1969 aveva liberalizzato l’accesso alle facoltà universitarie a chiunque possedesse un titolo di maturità quinquennale; poi, che nel giugno 1999 l’Italia, insieme a Francia, Germania e Regno Unito, si era impegnata alla costruzione di uno Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore, il cosiddetto “Processo di Bologna”. Alla luce di ciò, è facile vedere l’attuazione del numero chiuso come la risposta italiana a uno degli impegni internazionali sottoscritti: il test voleva essere garanzia della massima occupabilità dei laureati, dopo che l’apertura del 1969 aveva formato personale medico in sovrannumero rispetto alle esigenze di allora del Paese.

Il cuore del problema

Sulla base dei dati dallo studio “Il fabbisogno di personale medico nel SSN dal 2016 al 2030” condotto nel 2016 dall’Associazione Medici Dirigenti (Anaao), il 20 marzo 2019, Quotidiano Sanità titola così: “Da qui al 2025 mancheranno almeno 16.500 medici specialisti”. Già solo il titolo chiarisce un punto importante: l’Italia non soffre di una carenza strutturale del personale medico e sanitario in generale; la grave insufficienza pesa sulle discipline mediche specialistiche. Questa dovuta precisazione serve per tornare criticamente sull’opinione diffusa che, se si vuole coprire il fabbisogno di personale medico, vada abolito il numero chiuso. La logica di questo approccio è evidente: se mancano medici, servono più laureandi, che sono in numero insufficiente per via delle barriere all’ingresso, motivo per cui, vista la situazione, il test non ha ragione di esistere.

Figura 1. Confronto tra Fabbisogni specialistici Regionali e contratti di Specialità MIUR (fonte: studio Anaao 2016 “Il fabbisogno di personale medico nel SSN dal 2016 al 2030”)

Eppure, i dati delineano un’altra realtà: il sistema accademico dell’area medica non funziona non perché non assecondi il sogno di carriera delle molte aspiranti matricole – traguardo irraggiungibile, peraltro, viste le domande che negli ultimi anni si aggirano tra le 65 e le 70 mila – bensì, in prima battuta, per l’insufficiente disponibilità di finanziamenti e borse di studio per gli specializzandi (fig. 1 e 2).

Figura 2. Confronto tra numero chiuso Scuole di Medicina, contratti specialistici MIUR, Borse MMG e Laureati stimati per anno accademico (fonte: studio Anaao 2016 “Il fabbisogno di personale medico nel SSN dal 2016 al 2030”)

Ma quali sono le altre cause che hanno accelerato o rischiano di compromettere ulteriormente la carenza del personale medico in questione, oltre alla scarsità di fondi? Ad aggravare quello che all’interno dello studio Anaao è definito “imbuto formativo e lavorativo” sono le recenti misure adottate in materia di pensioni: l’introduzione di “Quota 100”, prevede Quotidiano Sanità il 20 marzo 2019, unita ai numeri del pensionamento ordinario, potrebbe incidere non poco nel determinare un esodo di circa 52.000 medici specialisti nel quinquennio fino al 2025. Stando ai dati del 2015 dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), l’età media ospedaliera italiana è la più alta d’Europa con 55 anni.

Considerato che la risposta naturale al pensionamento è l’assunzione, ma che su questo fronte l’Italia ha un turnover vincolato, il ricambio generazionale risulta ostacolato. Il vincolo più stringente è rappresentato dall’imposizione del titolo di specializzazione come requisito necessario di accesso al lavoro nel Sistema sanitario nazionale (SSN). L’Anaao avverte: “Fino a quando la Legge non consentirà l’ingresso del medico non specialista in ospedale, per formarlo in quella sede, come in tutto il mondo occidentale, il SSN non ha alcuna autonomia nella definizione del proprio fabbisogno futuro”.

Non è possibile, poi, trascurare l’impatto negativo della fuga dei medici italiani all’estero sul sistema Paese. Nelle conclusioni del report 2016, l’Associazione Medici Dirigenti stima il danno economico come il costo di formazione del singolo: si parla di 150.000€ a medico. Più recentemente, nel settembre 2019, il Sole24ore alza la stima del costo pro capite fino a 250.000€: data una media di 1500 emigrazioni registrate ogni anno, il danno economico è di circa 350 milioni. E, per citare nuovamente lo studio dell’Anaao: “Ovviamente il danno non è solo economico. Noi perdiamo talenti, intelligenze, saperi professionali, sottratti per incuria alla sostenibilità qualitativa del nostro SSN e più in generale allo sviluppo scientifico e culturale del nostro Paese”.

Lo sguardo al futuro

Alla luce di quanto esposto, è evidente che la priorità assoluta del Paese sia quella di riassorbire il più possibile dell’imbuto formativo, viste le carenze che si prospettano nei prossimi anni. Finchè non verranno intraprese iniziative decisive in questo senso, come l’implementazione delle risorse a disposizione degli specializzandi o l’adozione di misure in grado di avvicinare il percorso di studi con il lavoro sul campo e quindi rivedere il sistema di assunzione, qualsiasi intervento che ampli la base di immatricolazione non può che aggravare una situazione già stagnante.

Per dirlo con le parole delle Regioni presso la Commissione Cultura del Senato sulla revisione della Legge 264/1999: “occorre strutturare un piano di azione […] che preveda al contempo, com’è evidente, importanti investimenti […]. E se questa fosse la scelta, una scelta com’è evidente di medio-lungo termine, allora si può prefigurare in prospettiva futura l’abolizione del numero chiuso, oggi purtroppo – a nostro parere – ancora una scelta per molti versi obbligata. Diversa questione è poi se il numero chiuso oggi applicato sia ben realizzato e conduca al tipo di selezione auspicato. […] Più che abolire i test di accesso per i corsi a numero programmato, riteniamo che occorra investire maggiori risorse al fine di migliorarne il funzionamento”.

Anna Gambahttps://orizzontipolitici.it
Persona pragmatica e razionale, mi ritrovo l’indole di chi non rinuncia a credere nei grandi ideali: l’arte, la politica, il ritorno della grande Inter. Nata nel 99, in un’altra vita sarò ingegnere; in questa, studio felicemente Economia e Management per Arte, Cultura e Comunicazione in Bocconi.

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