La nuova amministrazione del presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva (detto Lula), sembra voler rilanciare il ruolo regionale e globale di Brasilia sulla scena internazionale. Il Gigante Verdeoro è la prima economia e il Paese più popoloso dell’America Latina, il suo immenso potenziale è limitato soltanto dai problemi interni, in particolare: la corruzione sistemica, la disuguaglianza e la povertà diffusa. Lula nei suoi precedenti mandati presidenziali ha fatto della lotta contro questi ultimi due mali una priorità assoluta della sua presidenza tramite ambiziosi programmi sociali.
Nato e cresciuto in povertà e formatosi come sindacalista sotto la dittatura militare, il presidente è estremamente popolare tra le fasce meno abbienti della popolazione, che da sempre rappresentano il nocciolo duro del suo elettorato. Lula si ritirò inizialmente dalla politica nel 2011 dopo due mandati presidenziali. A seguito della scarcerazione dall’illecita condanna per corruzione e riciclaggio nell’ambito dello scandalo Lava Jato, Lula ha vinto nuovamente la corsa per la presidenza nel 2022 contro l’ex presidente Jair Messias Bolsonaro. Lula è un punto di riferimento delle sinistre di tutto il mondo, un fervente sostenitore di una maggiore integrazione sia economica che politica dell’America Latina, e portavoce delle istanze dei Paesi in via di sviluppo di fronte al mondo sviluppato. Ben conscio delle potenzialità del suo Paese, il leader socialista intende integrare la sua visione del mondo nella politica estera brasiliana che, con l’attuale situazione internazionale, potrebbe significativamente estendere l’influenza del Brasile nella regione e possibilmente nel mondo.
Lula sul palcoscenico latinoamericano
L’elezione di Lula segna il coronamento dell’ultima “marea rosa” nel panorama politico latinoamericano, l’espressione indica una serie di vittorie elettorali delle sinistre nei Paesi della regione che portano ad una sorta di omogeneità politica del subcontinente (l’evento analogo per le destre è definito “marea blu”). La politica estera dei Paesi latinoamericani è infatti piuttosto volatile e tende a cambiare spesso direzione a causa dell’alternanza regolare tra governi di sinistra e di destra, che avviene quasi in blocco nella regione per via della vicinanza temporale tra i cicli elettorali. I partiti di destra sono tradizionalmente liberisti, conservatori e allineati agli Stati Uniti, mentre la sinistra latinoamericana nutre in generale una maggiore diffidenza nei confronti del libero mercato e di Washington.
Lula è stato uno dei presidenti fondatori dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), un’organizzazione politico-economica ispirata all’Unione Europea nata nel 2008, durante la prima ondata rosa. L’organizzazione comprendeva tutte le nazioni dell’America del Sud ed è rimasta operativa fino al 2018, quando la crisi venezuelana ha portato all’isolamento diplomatico del regime autoritario di Nicolas Maduro e all’abbandono dell’UNASUR da parte della maggior parte degli stati membri. L’America Latina si divise in due blocchi, tra chi riconosceva l’autorità di Maduro e chi invece ne contestava la legittimità. I governi di stampo socialista e in alcuni casi con tratti autoritari (come Cuba, il Nicaragua, la Bolivia e il Messico) si schierarono col regime, mentre i Paesi oggetto della marea blu della seconda metà degli anni 10 imposero l’isolamento diplomatico in sintonia con la politica di Washington. Con la più recente marea rosa, l’isolamento diplomatico del Venezuela si è molto allentato e l’elezione di Lula gli ha dato il colpo di grazia. Il presidente del Brasile già intratteneva ottime relazioni sia politiche che personali con l’ex presidente venezuelano, Hugo Chavez, in carica dal 1999 fino alla sua morte nel 2013, mentore di Maduro e largamente responsabile per l’ attuale situazione nel Paese. Chavez e Lula furono le menti dietro il progetto UNASUR, accomunati da simili ambizioni verso una maggiore integrazione regionale e emancipazione dall’influenza statunitense. Nonostante la loro affinità, Lula non ha mai mostrato atteggiamenti antidemocratici e le sue posizioni sono sempre state più bilanciate e pragmatiche delle scelte radicali ed autoritarie del regime venezuelano.
Eppure lo stesso presidente brasiliano è il leader democratico sudamericano che più si è speso per il reintegro diplomatico dell’esecutivo di Maduro. Ora che è di nuovo al timone, Lula ha già mosso i primi passi per provare a resuscitare lo spirito di unità regionale che il progetto UNASUR si prometteva di promuovere. A maggio di quest’anno, per la prima volta dopo 9 anni dall’ultimo summit dell’UNASUR, Brasilia ha ospitato i leader di tutti i 12 Paesi del Sudamerica, incluso il Venezuela. All’ordine del giorno: rilanciare l’integrazione regionale, possibilmente anche rivitalizzando la vecchia Unione Sudamericana. Lula ha senza dubbio preso l’iniziativa, non solo organizzando il meeting, che è di per sé già un passo importante, ma anche proponendo l’istituzione di una moneta unica con l’esplicita intenzione di sfidare la supremazia del dollaro. La presenza di Maduro a Brasilia ha causato non poco scalpore. Sebbene il dialogo col regime venezuelano ora appaia come una scelta pragmatica, con l’Occidente che ha ormai accettato il fallimento dell’isolamento diplomatico come tattica per il cambio di regime, il caloroso benvenuto riservato all’uomo forte di Caracas dal padrone di casa è apparso eccessivo. In quella che è sembrata in tutto e per tutto una vittoria diplomatica di Maduro, Lula si è spinto fino al punto di negare la natura autoritaria del regime, allineandosi alla retorica venezuelana che ritiene le sanzioni occidentali la causa principale della grave crisi nel Paese. Queste dichiarazioni hanno minato il senso di unità sudamericana che il presidente brasiliano intende proiettare all’esterno. Infatti, sia il presidente progressista del Cile, Gabriel Boric, che il presidente centrista dell’Uruguay, Luis Lacalle Pou, hanno criticato la posizione di Lula, rimarcando la natura autoritaria del regime di Maduro e denunciando le continue violazioni dei diritti umani nel Paese.
E’ dunque evidente che persino con il subcontinente quasi del tutto ideologicamente allineato, un eventuale UNASUR 2.0 avrebbe dei seri problemi a presentarsi come un fronte unito. Lula inoltre non può immaginare di costruire l’integrazione della regione su mere basi ideologiche, soprattutto in un contesto così politicamente volatile come quello sudamericano. Ad ottobre ci saranno le elezioni presidenziali in Argentina ed è probabile che l’attuale presidente socialista, Alberto Fernandez, verrà rimpiazzato da un leader più conservatore. Lula potrebbe presto dover fare i conti con una nuova marea blu, che metterebbe a rischio qualsiasi progetto di unità politica, se percepito come troppo ideologico.
Il Brasile sul fronte globale
Il Brasile si trova al momento in una posizione diplomatica estremamente proficua, ospiterà il G20 per la prima volta nel 2024, la conferenza sul clima (COP30) e il summit annuale dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) nel 2025. Tutti questi eventi si terranno sotto l’amministrazione Lula e sono occasioni perfette per far sentire la propria voce davanti alla comunità internazionale.
La COP30 capita in un momento in cui gli occhi di tutto il mondo sono puntati sulla situazione ambientale nella Foresta amazzonica, che Lula ha solennemente promesso di difendere in campagna elettorale dopo 4 anni di negazionismo ambientale sotto la presidenza Bolsonaro. La questione rappresenta un importante punto di convergenza tra il Brasile e i Paesi occidentali, i più politicamente coinvolti nella lotta al cambiamento climatico. Il presidente francese, Emmanuel Macron, più di qualsiasi altro leader occidentale, ha mostrato sostanziale entusiasmo per l’arrivo di Lula al palazzo del Planalto, in particolare per via delle frizioni politiche e personali col suo predecessore. L’UE al tema del clima aggiunge, come d’abitudine, quello degli accordi commerciali. La presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, ha promesso durante un incontro bilaterale con Lula che un accordo di libero scambio tra l’UE e il MERCOSUR (l’area di libero scambio di cui fanno parte il Brasile, l’Argentina, l’Uruguay e il Paraguay) sarebbe stato finalmente raggiunto per la fine dell’anno, dopo ben due decadi di stallo. La ratifica di un tale accordo creerebbe la più grande area di libero scambio del mondo e sarebbe una gigantesca vittoria diplomatica per il presidente brasiliano.
Nonostante ciò, il Brasile è tutt’altro che allineato alle posizioni occidentali e i forti legami commerciali con Mosca e Pechino rendono le cose più complicate. L’enorme industria agroalimentare brasiliana, infatti, dipende fortemente dalle importazioni di fertilizzante russo e sfama la Cina . Lula, come già menzionato in precedenza, non vede di buon occhio l’egemonia americana e ha approfittato della sua visita a Pechino ad aprile per criticare la supremazia commerciale del dollaro suggerendo che in futuro lo yuan e il real gli saranno preferiti nell’interscambio commerciale tra i due Paesi. Inoltre, il tentativo del presidente brasiliano di mantenere una posizione equidistante sull’invasione russa dell’Ucraina ha generato parecchi malumori in Europa e a Washington. Eppure, Lula non può essere liquidato semplicemente come antioccidentale, le sue posizioni sono quelle di un leader del Terzo Mondo e non così radicali come invece quelle di uno stato canaglia.
Il necessario equilibrismo diplomatico del Brasile di Lula
Il leader sudamericano aspira a farsi portatore delle istanze del cosiddetto Sud Globale, quella parte del mondo che è più interessata allo sviluppo del proprio Paese piuttosto che alle dispute tra grandi potenze. Appare quindi evidente che Brasilia non possa permettersi un deterioramento dei rapporti con Mosca e Pechino, ma debba allo stesso tempo conservare la relazione amichevole con l’Occidente, mantenendo integra la propria tradizione democratica e senza dare l’impressione di star entrando a far parte di un’asse antioccidentale. Per questa ragione, il Brasile si oppone fortemente alla proposta sino-russa di espandere il gruppo dei BRICS a Paesi storicamente ostili a Washington, come il Venezuela, la Siria e l’Iran. Ma lo stile diplomatico del presidente brasiliano è spesso più impulsivo che cauto: gli attacchi al dollaro, la sintonia con Maduro, le stoccate a Kyiv sulla guerra e l’inspiegabile presenza di due navi da guerra iraniane nel porto di Rio De Janeiro sono tutti elementi che minano l’affidabilità del leader sudamericano agli occhi dell’Occidente. Le circostanze sono piuttosto favorevoli a Lula per la realizzazione delle sue ambizioni per il Brasile, resta però l’incertezza sulla posizione del Gigante Verdeoro in un mondo sempre più multipolare.