L’undici gennaio 2011 la popolazione Tunisina fu la prima del mondo arabo a insorgere contro un regime dittatoriale, ponendo fine a quello che l’occidente ha definito “un’apatia politica” durata decenni. Nonostante le iniziali e apparenti conquiste democratiche, i movimenti di protesta economico-sociali, conosciuti ampiamente come Primavere Arabe, ebbero un esito involutivo nella maggioranza dei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente (MENA). Anche in questo baluardo democratico, le conquiste del decennio passato stanno entrando in una fase di regressione democratica a seguito dell’elezione alla Presidenza dell’outsider Kais Saied, e del congelamento del parlamento nel 2021.
L’unica democrazia del mondo arabo è ancora una democrazia?
La Tunisia fu il primo paese arabo dove la rivoluzione, innescata dalle proteste del 2011, ebbe successo portando con sé la speranza dell’instaurazione di un sistema politico democratico e secolare. In seguito allo spodestamento di Ben Ali e al successivo periodo di tumulto politico, quattro organizzazioni rappresentanti la società civile – tra cui l’influente sindacato Unione Generale Tunisina del Lavoro, l’Ordine degli Avvocati Tunisini e la Lega Nazionale per i Diritti dell’uomo – prendendo parte al lungo “Dialogo Nazionale” hanno redatto la nuova Costituzione, meritando un nobel per la pace. Nel 2014 fu intrapresa la transizione democratica verso una configurazione istituzionale di repubblica semipresidenziale e furono tenute le prime elezioni legislative libere e a suffragio universale. La Tunisia del 2020 era dunque definita dall’Economist Intelligence Unit Democracy Index una “democrazia imperfetta” ma funzionale, inserendola nella stessa categoria di Stati Uniti e Francia. Secondo il Report Annuale di Freedom House del 2020, ha ospitato elezioni competitive e credibili per la presidenza e il parlamento nel settembre e ottobre 2019, confermando il suo status di unico paese libero nella regione MENA. Nel 2019, la seconda tornata di elezioni ha portato alla presidenza Kais Saied, un professore universitario di diritto costituzionale che ha corso indipendentemente la campagna elettorale, presentandosi come un outsider anti-establishment e promettendo riforme economiche.
Nel preesistente contesto di fragilità democratica delle neonate istituzioni, della pandemia e della crisi economica, nel luglio 2021 il presidente Saied, invocando l’articolo 80 della Costituzione e attribuendosi poteri emergenziali, ha inaugurato un processo di regressione democratica. L’erosione dei checks and balances è continuata nel febbraio 2022 con lo scioglimento del Consiglio Superiore della Magistratura -organo che garantiva l’indipendenza giudiziaria del paese-, dell’Assemblea parlamentare e la destituzione del Primo Ministro. La natura illiberale di Saied si è materializzata nella stesura di una nuova Costituzione, le cui disposizioni hanno modificato l’assetto politico-istituzionale in modo sostanziale e spianato la strada a un potere quasi assoluto della figura presidenziale, eliminandone persino l’impeachment e accelerando la regressione democratica.
Saied ha inoltre intrapreso una campagna di repressione, scagliandosi in particolar modo contro l’opposizione islamista guidata dal partito Ennahda e gudici e media indipendenti, portando all’arresto di circa 20 oppositori politici dall’inizio dell’anno. Tra gli arresti figura il leader dell’opposizione Rached Ghannouchi. Foreign Policy riporta che alcuni sono stati arrestati con l’accusa di aver causato la carenza di cibo sovvenzionato, provocata in realtà dalla guerra in Ucraina, altri di complottare con l’ambasciata statunitense contro il governo e con l’Ue per l’afflusso di migranti irregolari.
Le ultime elezioni, tenutesi in seguito all’adozione della nuova Costituzione definita “a misura di Saied”, hanno visto i maggiori gruppi dell’opposizione, tra cui Fronte di Salvezza Nazionale – che comprende Ennahda – e l’Unione Generale Tunisina del Lavoro (UGTT), chiedere all’elettorato il boicottaggio del voto. Il leader illiberale è stato dunque “sfiduciato” dai numeri dell’affluenza alle ultime elezioni libere del dicembre 2022: solo l’11% della popolazione infatti si è recata alle urne, un milione su nove di aventi diritto.
Crisi economica e la demagogia di Kais Saied
Nonostante le promesse di una società aperta, democratica e competitiva, dal 2015 iniziò ad acuirsi la crisi economica dovuta alla combinazione, tra le altre, del crollo dello Stato dirigista autoritario di Ben Ali, la conseguente crescita della disoccupazione –fino al 40% tra i giovani – e l’implementazione di politiche economiche di austerità richieste dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) in cambio di prestiti. La guerra in Ucraina e la pandemia hanno ulteriormente alzato l’inflazione, mentre i fornitori tunisini hanno registrato carenza di beni di prima necessità e materie prime, a causa del blocco navale russo al trasporto del grano e olio proveniente dall’Ucraina. Gli investimenti e i prestiti sono in gran parte finanziati da donatori esterni – la Banca Mondiale, gli Stati Uniti, la BCE e la Banca Africana – e finora non hanno contribuito a rilanciare l’economia, confluendo al contrario in programmi assistenziali del settore produttivo, agricolo e protezione sociale per i più vulnerabili.
Attualmente l’economia tunisina è in stagnazione, l’inflazione ha raggiunto quasi il 10% e l’accordo da 1.9 miliardi di prestito con il FMI è stato bloccato, a causa dell’indisponibilità del governo ad attuare riforme in politica economica. Tunisi sostiene infatti che le riforme richieste – tagli alla spesa pubblica e in particolare al sistema di sussidi – provocherebbero una minaccia alla stabilità sociale e un aumento della povertà. Inoltre, se il governo non sarà in grado di ripagare i 2 miliardi di dollari di debiti esteri in scadenza nel quarto trimestre di quest’anno e nel primo trimestre del 2024, potrebbe andare incontro al default economico. L’atteso salvataggio dell’economia del paese da parte del FMI sembra essere quindi una prospettiva lontana. La posizione dei maggiori contribuenti occidentali è stata inoltre negativamente influenzata dal recente discorso demagogico sulla teoria della “grande sostituzione”, in cui il presidente ha dipinto un complotto per modificare la composizione demografica della Tunisia tramite influssi di etnie non arabe.
Come risultato, centinaia di rifugiati provenienti dall’Africa subsahariana diretti in Europa – secondo i dati ufficiali stimati tra i 20.000-30-000 – sono stati arrestati, mentre altri sono stati attaccati dai nazionalisti. La deriva nativista di Saied, e il richiamo alle cospirazioni internazionali volte a destabilizzare la Tunisia, sono espedienti per trovare un colpevole per la crisi economica e sociale. La discriminazione si ripercuote fortemente sulla condizione sociale dei “tunisini neri”, minoranza nazionale esclusa dalla vita politica e residente nel sud del Paese, rappresentante secondo Mnemty tra il 10 e il 15 per cento della popolazione totale.
Ripercussioni sulla rotta migratoria e la risposta dell’Italia
In Europa, il dibattito costruito dagli attori politici e dai media occidentali sulla questione tunisina alimenta la visione securitaria ed emergenziale sull’immigrazione. Le dichiarazioni evidenziano come gli avvenimenti in Tunisia hanno un impatto immediato sui paesi Europei, non solo perché l’instabilità economica del paese porterebbe a un aumento di flussi migratori, ma creerebbe maggiore insicurezza nella regione MENA. Ne segue una scelta imperativa dell’Ue di focalizzare la strategia su una linea di credito per prevenire il collasso economico e sociale del paese, perpetuando inoltre le politiche di esternalizzazione delle frontiere tramite finanziamenti e accordi di rapido rimpatrio.
La Tunisia è un paese di transito cruciale per la rotta migratoria del Mediterraneo Centrale proveniente dall’Africa Sub-Sahariana, a cui si unisce il flusso dei cittadini tunisini che sfuggono la recente crisi economica. Secondo i dati delle Nazioni Unite aggiornati all’aprile 2023, dall’inizio dell’anno circa 36.000 rifugiati hanno raggiunto l’Italia, di cui 19.000 circa salpando dalla Tunisia, rispetto alle 1.800 dello stesso periodo del 2022. L’aumento del numero di persone che attraversano il mare inoltre può essere stato condizionato dal clima mite dall’inizio dell’anno e dalla preferenza di intraprendere il viaggio dalla Tunisia piuttosto che dalla Libia, maggiormente equipaggiata dall’Italia di fondi e attrezzature. L’ultimo “Memorandum d’intesa” in materia di cooperazione allo sviluppo, firmato nel 2021 sotto la ministra Lamorgese prevede un sostegno finanziario di 200 milioni di euro al governo Tunisino entro il 2023. Inoltre, ad oggi, il rapido rimpatrio dei cittadini tunisini si basa su un accordo del 1998, che prevede 80 rimpatri alla settimana e due voli fissi, il martedì e il giovedì. ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) riporta che con almeno 1.922 tunisini rimpatriati nel 2020 e 1.872 nel 2021, la Tunisia rimane la principale destinazione dei rimpatri dall’Italia (73,5%).
Mentre la Tunisia diventa la principale rotta di transito verso l’Italia, il dossier immigrazione è sempre più cruciale per il nuovo governo che punta a rafforzare l’approccio securitario. L’inquadramento allarmante della questione migratoria ha portato il Ministro degli Interni Matteo Piantedosi ad adottare un approccio interventista, chiedendo la promozione della stabilità finanziaria e lo sblocco dei 1.9 miliardi congelati dal FMI indipendentemente dall’adozione delle condizionalità da parte del governo tunisino. Nel frattempo, il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha annunciato di star lavorando a un accordo per consentire l’entrata legale in Italia di 4000 cittadini tunisini precedentemente formati, fuori dalla cornice del Decreto Flussi. L’attivista e presidente della commissione anti-corruzione Sihem Bensedrine denuncia l’Italia e l’Europa di vincolare gli aiuti in cambio di un maggiore sforzo del governo di Tunisi di bloccare le partenze nel Mediterraneo a ogni costo e senza alcun rispetto per i diritti umani e sanzioni per la regressione democratica.
Le prospettive economiche della Tunisia dipenderanno in larga misura dalla capacità del paese di ottenere e mobilitare risorse ottenute dai contributori esteri e di attuare investimenti nel settore produttivo, parallelamente tutelando le frange più povere della popolazione. Secondo lo scenario di base di S&P Global Ratings, la Tunisia sarà in grado di ottenere un accordo con il Fondo Monetario Internazionale, reiterando però la forte dipendenza dagli aiuti esterni. L’attuale crisi tunisina va inoltre affrontata tempestivamente, in quanto collocandola in un contesto più ampio, l’instabilità della regione crea contesti di insicurezza umanitaria alle porte dell’Europa. Infine, la regressione democratica in Tunisia, per Paesi adiacenti come l’Italia, si trasforma in un onere diretto delle dinamiche migratorie e rischi legati alle interconnessioni economiche e commerciali.
[Credits foto Gwenael Piaser, via flickr]