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Il razzismo in America Latina e le sue forme

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Per anni in America Latina diversi governi liberali hanno adottato il cosiddetto “daltonismo autoimposto”, ovvero hanno rigettato l’idea dell’esistenza della discriminazione etnico-razziale e hanno scoraggiato gli istituti di ricerca e statistica nel raccogliere dati a riguardo.
Oggi in Stati come Cile e Argentina le origini indigene e l’epoca coloniale non vengono studiate approfonditamente e le popolazioni indigene e le associazioni degli afro-discendenti lottano ancora perché i governi riconoscano il passato. 

Nel Paese andino è anche per via di tale narrativa che, ad esempio, si sente ormai spesso la frase “Aquí no hay negros” (lett. “qui non ci sono neri”). Similmente, in Argentina si è nel tempo creata l’immagine di un Paese che accoglie tutti, ma senza riconoscere i colori e le origini.

A rimarcare questa narrativa, in occasione della conferenza celebrata a Buenos Aires il 9 giugno insieme al presidente spagnolo, Pedro Sánchez, il presidente argentino, Alberto Fernández ha voluto ricordare le origini europee degli argentini con una citazione (inesatta) di Octavio Paz, premio Nobel per la letteratura nel 1990. “Scrisse un volta Octavio Paz che i messicani discendono dagli indios, i brasiliani dalla selva, però noi argentini arriviamo dalle barche. Barche che arrivavano dall’Europa” disse Fernandez, scatenando polemiche e offendendo soprattutto i brasiliani. Le accuse più pesanti sono arrivate dalle testate giornalistiche dei paesi nominati da Fernández e dal figlio di Bolsonaro, che in un tweet accusava indirettamente il premier argentino di razzismo nei confronti degli indigeni e degli africani brasiliani. 

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Alberto Fernandez, presidente argentino, e Cristina Fernandez de Kirchner, vicepresidente. [crediti foto: Nicolás Aboaf, Casa Rosada CC BY 2.5 AR]

L’ossessione bianca degli Argentini

La poesia di Octavio Paz recitava: “i messicani discendono dagli aztechi, i peruviani dagli Incas e gli argentini…dalle barche”. L’Argentina è stata, infatti, una delle destinazioni più popolari della emigrazione europea nel XX secolo e da sempre gli argentini si vantano di essere un popolo inclusivo, orgoglioso della propria diversità, ma soprattutto un popolo “bianco”.

Alla domanda “perché non ci sono persone di colore in Argentina?” gli stessi argentini rispondono che non ce ne sono mai stati tanti perché l’Argentina è stato il primo paese ad abolire la schiavitù, nel 1813, e perché la grande ondata migratoria europea li ha fatti emigrare nei paesi vicini. Le barche che portavano gli schiavi neri dall’Africa nel XVI secolo approdavano perlopiù in Venezuela e a Cartagena, in Colombia, dove si trovava la piazza del commercio di schiavi più importante della regione. Gli schiavi neri sono arrivati in Argentina, e anche molti, ma, d’accordo con la tendenza di allora, non venivano censiti e pian piano si sono “mescolati” alla popolazione locale e, successivamente, agli immigrati bianchi europei. Se oggi si incontra una persona con evidenti caratteri fisici dei nativi o africani è probabile che, per vergogna o per ignoranza riguardo le proprie origini, risponda che i suoi antenati erano del sud d’Italia. Dopo secoli di schiavitù e stermini di interi popoli indigeni, infatti, i governi, democratici e non, dell’epoca contemporanea hanno continuato a negare i diritti e depredare delle terre, della cultura e valori dei nativi, togliendo loro anche il senso identitario. 

Le popolazioni indigene e gli afro discendenti in America Latina

Ci sono circa 28 milioni indigeni in America Latina, secondo le stime del 2007 dalla Banca Mondiale, e la popolazione afro-latina e afro-caraibica della regione, invece, conta circa 150 milioni di persone, ossia circa il 30% della popolazione totale della regione. Questa si concentra in particolare in Brasile (50%), Colombia (20%) e Venezuela (10%). Ciò rende la popolazione discendente africana cinque volte più grande della popolazione indigena. Il termine “afro-discendente” è stato adottato per la prima volta dalle organizzazioni afro-discendenti regionali nei primi anni 2000 e descrive persone unite da una comune discendenza ma che vivono in condizioni molto diverse. In Venezuela gli afro-discendenti, più comunemente chiamati “Negros” (neri, in spagnolo), sono più integrati nella società rispetto ai popoli indigeni che, invece, a causa del sistema educativo e delle politiche poco inclusive hanno difficoltà a farsi riconoscere. 

I popoli indigeni rappresentano l’8% della popolazione dell’America Latina, ma costituiscono anche circa il 14% dei poveri e il 17% degli estremamente poveri della regione. Nel Cono del Sud il popolo più grande è quello dei Mapuche, i  quali da secoli sono vittime di violenze e persecuzione da parte dei diversi governi cileni. Nei Paesi della regione andina si trovavano società complesse come i Maya, gli Incas, o le popolazioni andine, come i Quechua e gli Aymara. Il 90% della popolazione indigena regionale si trova principalmente in cinque paesi: Perù (27%), Messico (26%), Guatemala (15%), Bolivia (12%) ed Ecuador (8%). 

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Tessitura nel mercato della Valle Sacra in Perù. [crediti foto: Pamela Huber, unsplash]

La mancata rappresentanza politica

Ma un’alta presenza percentuale nella popolazione non significa maggior importanza all’interno dei poteri decisionali. In Guatemala, dove la maggior parte della popolazione è indigena, la prolungata guerra civile degli ultimi tre decenni ha colpito direttamente tale maggioranza. In Ecuador, come indicato dalla Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador (CONAIE), gli indigeni costituiscono il 45% della popolazione totale del Paese, anche se, nonostante il riconoscimento formale nella Costituzione, il loro peso demografico non si riflette proporzionalmente né nella rappresentanza parlamentare né nelle posizioni di governo. 

La negazione dell’”altro” da parte delle élite politiche ed economiche (le élite che assumono la propria identità come creole, quasi mai come meticci) ha diverse facce. Da una parte, l’altro è lo straniero, e la cultura politica latinoamericana, nelle sue versioni più tradizionaliste e autoritarie, ha spesso esibito una resistenza xenofoba all’altro-straniero che minaccia e corrode dall’esterno l’identità e l’unità nazionali. All’estremo opposto, lo stesso “creolo” latinoamericano ha negato l’altro-dentro (l’indiano, il meticcio) identificandosi in modo emulativo con l’europeo o nordamericano, o definendo l’ethos nazionale da un ideale europeo, opposto al quale le culture etniche locali venivano etichettate con lo stigma dell’arretratezza. 

La questione razziale in America Latina

Nonostante ciò, negli ultimi 20 anni la crescente attenzione internazionale alle esigenze delle popolazioni indigene in America Latina si è tradotta nell’istituzione di fondi mirati a sostegno di tali comunità. Tale sostegno ha favorito l’attuazione di politiche favorevoli, nonché l’ottenimento di significative vittorie politiche per il movimento indigeno. Le ultime elezioni in Perù, in cui ha vinto, anche se non ancora ufficialmente, il candidato di sinistra marxista più vicino ai diritti delle popolazioni rurali, ci dimostrano un grande passo avanti per la comunità indigena del paese.

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Manifestazione contro la violenza razzista in America. [crediti foto: Joe Brusky, Flickr CC BY-NC 2.0]
D’altro canto, l’attenzione internazionale per i discendenti africani è molto più recente. Le comunità di afro-latini e afro-caraibici hanno i peggiori indicatori economici e sociali, e sono di gran lunga i più poveri della regione. La maggior parte vive in condizioni di estrema povertà a causa di una discriminazione sistemica in diversi settori della società, da quello educativo a quello sanitario a quello politico. Il Brasile è il paese in cui è presente il maggior numero di discendenti di africani fuori dall’Africa, circa il 45% della sua popolazione, e ancora oggi ha enormi difficoltà ad affrontare la questione del razzismo sistemico, talvolta persino a riconoscerne l’esistenza.  Solo il 64% degli afro-discendenti in America Latina completa la scuola primaria (contro l’80% dei non-Afro-discendenti) e ancora meno individui riescono a completare l’istruzione secondaria. 

Durante la pandemia, che ha allargato le disuguaglianze sociali in maniera notevole, sono stati gli indigeni e gli afro-discendenti a patire maggiormente, esclusi dai sistemi di previdenza sociale o costretti, per fame, a ritornare dalle città alle proprie comunità di origine. L’ampliamento del divario sociale ha inoltre implicato, indirettamente, la tendenza, ancora poco studiata e visibile, dei più giovani indigeni alla riscoperta delle proprie origini. Attraverso i social media i movimenti di giovani indigeni per la protezione delle proprie terre, il movimento #Brownlivesmatter e molti altri hanno iniziato a sensibilizzare la popolazione riguardo gli usi e i costumi delle comunità native, nonché le loro problematiche nell’inserimento sociale. Questo potrebbe aiutare i governi a tradurre in azioni concrete la retorica politica e giuridica di inclusione iniziata negli anni ‘00, con la transizione alla democrazia. 

 

*Membri di una comunità indigena in Sud America. [crediti foto:Diego Delso, CC-BY-SA 4.0]
Maddalena Fabbi
Nata a Genova nel ’98. Laureata in triennale alla statale di Milano, oggi sono studentessa double degree presso l’Università di Belgrano a Buenos Aires, Argentina. La mia ricerca di nuove esperienze mi ha portato più volte in America Latina di cui mi sono appassionata.

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