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Il dilemma del litio: transizione ecologica e danni ambientali

Tempo di lettura stimato: 6 min.

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Articolo pubblicato su Business Insider Italia

A settembre 2020 la Commissione europea ha presentato il nuovo piano d’azione per le materie prime critiche, definite tali per l’alto valore economico e l’elevato rischio di approvvigionamento. Si tratta di materiali essenziali per una vasta gamma di ecosistemi industriali, che comprendono i settori delle nuove tecnologie, della transizione energetica e, in particolare, la produzione di batterie utilizzate nella mobilità elettrica e nello stoccaggio di energia pulita. Nell’elenco stilato dalla Commissione e aggiornato al 2020, il litio è stato inserito per la prima volta come materiale critico. Grazie all’elevata conduttività e alla capacità di immagazzinare di energia, questo metallo alcalino è infatti fondamentale per batterie elettriche, e appare come un elemento chiave nella transizione energetica. Assicurarsi l’accesso a questa risorsa si configura dunque come una priorità strategica per la realizzazione del Green Deal, piano con cui l’Unione europea si impegna a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. 

La mobilità elettrica in Europa

In quest’ottica, una delle partite principali si gioca nel settore dei trasporti. Gli spostamenti in auto sono da soli responsabili del 12% delle emissioni europee, e dovranno diminuire di più di un terzo (37,5%) entro il 2030 per restare in linea con gli obiettivi stabiliti dagli Accordi di Parigi. I Paesi membri stanno investendo ingenti risorse per incentivare il passaggio all’elettrico, e al contempo il progresso tecnologico promette di abbassare i costi e aumentare l’efficienza. Solo in Europa, il numero di veicoli elettrici è stimato crescere dagli attuali 2 milioni a 40 milioni entro il 2030

L’espansione della mobilità elettrica richiede una maggiore quantità di sistemi di accumulo a batteria, e da ciò deriva la crescita sempre più sostenuta del mercato del litio. Secondo un rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite su Commercio e Sviluppo (Unctad), il valore del mercato mondiale di batterie agli ioni di litio raggiungerà i 58 miliardi di dollari entro il 2024. Un trend che si conferma anche a livello europeo, per cui le stime della Commissione prevedono un aumento della domanda di litio di 18 volte entro il 2030. 

La maledizione delle risorse e la corsa all’oro bianco

Attualmente, la quasi totalità del litio necessario per soddisfare il mercato di batterie europeo è importata dall’estero. Data la distribuzione geografica, il problema principale dell’Europa consiste infatti nell’approvvigionamento. Stando ai dati più recenti della US Geological Survey, le riserve mondiali di litio ammontano a 21 milioni di tonnellate, e sono concentrate in una manciata di Paesi sotto forma di soluzioni saline e minerali. Le prime si trovano principalmente nel “Triangolo del Litio”, un’area tra Cile, Argentina e Bolivia che detiene più della metà delle riserve mondiali. Qui, il litio viene ricavato tramite un processo di evaporazione dei laghi salmastri sotterranei, che risulta relativamente economico ed efficiente. Per quanto riguarda l’estrazione dai depositi di roccia, l’industria mineraria del litio è largamente sviluppata in Australia e in Cina, dove le riserve sono stimate ammontare rispettivamente a 4,7 milioni e 1,5 milioni di tonnellate. Guardando ai maggiori Paesi produttori, il primo posto è occupato dall’Australia – da sola responsabile della fornitura di metà del litio mondiale – seguita da Cile (22%), Cina (17%) e Argentina (8%).

Il recente sviluppo del mondo delle batterie agli ioni di litio rende ancora aperto il dibattito riguardo i possibili benefici, in termini di ricchezza e sviluppo, che tale industria potrebbe comportare per i Paesi fornitori. Nel Triangolo del litio il passato di estrazione mineraria è ritenuto responsabile della crescita ciclica della regione – ossia periodi di rapido sviluppo seguiti da crisi economiche, legate al crollo dei prezzi delle materie prime, all’esaurimento e sovraccapacità ambientale. Nell’analizzare l’impatto dell’industria del litio sulla prosperità dei Paesi del Triangolo sudamericano, la letteratura scientifica appare oggi divisa. Se da un lato c’è chi ipotizza scenari più ottimistici, dall’altro, però, numerose ricerche si dichiarano a sostegno della “maledizione delle risorse”, filone di studi accademici che dimostra la correlazione tra abbondanza di risorse naturali e scarsa crescita economica. 

L’approvvigionamento di litio nasconde inoltre metodi di estrazione spesso non sostenibili, che rischiano di compromettere la rivoluzione verde di cui questo materiale è protagonista. La sua crescente rilevanza strategica e concentrazione a livello mondiale hanno scatenato una vera e propria “corsa all’oro bianco”, in cui gli interessi economici e geopolitici legati alla filiera di produzione si scontrano con l’ambiente e le comunità locali dei Paesi coinvolti.

L’impatto ambientale dell’industria del litio

Tra le questioni più critiche nel rapporto con l’ambiente vi è, innanzitutto, il consumo di acqua dovuto al processo di estrazione – si parla di 1,8 milioni di litri di acqua per tonnellata di litio. Nelle saline sudamericane, situate in aree già aride, lo squilibrio idrico ha provocato un aumento della siccità e della desertificazione; inoltre, le contaminazioni dalle sostanze tossiche utilizzate nell’attività estrattiva hanno contribuito a un ulteriore impoverimento e inquinamento delle falde acquifere. Uno dei casi più critici è del Salar di Atacama, lago salino responsabile del 40% della produzione mondiale di litio. Qui, le attività di estrazione hanno consumato il 65% della quantità d’acqua presente, aggravando la crisi idrica che il Cile sta già fronteggiando. 

L’impatto ambientale dell’industria del litio riguarda anche le emissioni di anidride carbonica, che variano dalle 5 alle 15 tonnellate per singola tonnellata di litio estratto. Secondo Roskill, società di analisi e valutazioni di mercato dei minerali, le emissioni di CO2 derivanti da estrazione, lavorazione e trasporto del litio sono destinate a triplicare entro il 2025 e a crescere di 6 volte entro il 2030. Nel quadro generale che si delinea, stando a uno studio di Transport & Environment, l’aumento delle emissioni dovute al processo di produzione delle batterie sarebbe tale da ridurre i benefici climatici dovuti all’utilizzo dei veicoli elettrici.

Il futuro: litio geotermico e riciclaggio 

Il litio appare quindi, da un lato, come imprescindibile per la transizione verso un futuro a basse emissioni; dall’altro, tuttavia, l’intera catena di produzione trascina con sé preoccupazioni in merito all’impatto sul pianeta. Un’alternativa potrebbe consistere nel litio geotermico, la cui estrazione comporta un consumo di acqua 150 volte minore rispetto alle attività minerarie. Grandi speranze sono riposte in Inghilterra, oggi sede del primo impianto europeo per la produzione di litio geotermico. Guardando agli Stati Uniti, la California Energy Commission stima che nel lago Salton potrebbe essere presente una quantità di litio geotermico sufficiente a soddisfare il 40% della domanda mondiale. Si tratta comunque di una catena di produzione agli albori, con costi e fattibilità ancora in fase di definizione. 

Conciliare industria del litio e sostenibilità potrebbe rivelarsi possibile anche attraverso la sua estrazione dalle batterie già prodotte. In Europa, tuttavia, solo il 5% delle batterie a ioni di litio viene riciclato, complici i problemi di logistica e i costi elevati – attualmente recuperare il litio costa cinque volte in più che estrarlo. Quello del riciclaggio è comunque un settore in crescita, per cui gli analisti stimano un aumento del fatturato di dodici volte nel prossimo decennio, superando i 18 miliardi di dollari entro il 2030. La Germania costituisce il Paese europeo più all’avanguardia per innovazione e ricerca in questo ambito, riconosciuto di importanza strategica anche dal piano Ue per i minerali critici. Tra gli obiettivi delineati, vi è infatti lo sviluppo di una catena di riciclaggio volta ad aumentare la circolarità delle materie prime e ridurre la dipendenza dai Paesi terzi.

 

Se ti è piaciuto questo articolo, leggi anche Tra tecnologia e geopolitica, il punto sulla decarbonizzazione dei trasporti

*Salar de Uyuni – Bolivia [crediti foto: Coordenação-Geral de Observação da Terra/INPE CC BY-SA 2.0]

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