Dall’inizio dell’escalation militare del 2022, i Paesi vicini a Kyiv si sono sforzati per isolare diplomaticamente Mosca, ciononostante ci sono ancora dei Paesi alleati su cui la Russia può fare affidamento per sostenere la sua guerra contro l’Ucraina.
Le sanzioni economiche e l’isolamento diplomatico della Russia hanno avuto finora un effetto parziale, con buona parte del Terzo Mondo che si rifiuta di tagliare i ponti con Mosca e continua ad avere un atteggiamento ambiguo nei confronti della sua aggressione contro l’Ucraina. Alcuni Paesi si spingono oltre e forniscono più o meno apertamente supporto materiale a Mosca, classificandosi nei fatti come alleati. La Bielorussa è formalmente alleata della Russia tramite la CSTO (l’antitesi russo-centrica della NATO) ed ha offerto equipaggiamento e il suo territorio come rampa di lancio per l’invasione dell’Ucraina. Iran e Corea del Nord condividono l’antiamericanismo russo e hanno contribuito a rifornire gli arsenali di Mosca.
Infine, la Cina è stata recentemente classificata come un “facilitatore decisivo della guerra della Russia contro l’Ucraina” dai Paesi NATO nel comunicato finale del summit di Washington. Sebbene il ruolo di Pechino come alleato di Mosca sia ancora da provare, ci sono diversi elementi che suggeriscono un suo coinvolgimento a favore della Russia.
La Bielorussia: l’amico di sempre

La Bielorussia, anche nota come Russia Bianca, ha acquisito la sua indipendenza nel 1991 con la dissoluzione dell’Unione Sovietica dopo secoli di dominazione russa, prima sotto gli zar e poi come parte della defunta URSS. Il Paese è governato col pugno di ferro dal presidente Lukashenko dal 1994, ed è membro della CSTO, l’alleanza militare russo-centrica strutturalmente simile alla NATO, e parte della cosiddetta Unione Interstatale con la Russia, un’entità sovranazionale che armonizza le politiche economiche e militari dei due Stati.
La Bielorussia aveva inizialmente un ruolo più ambiguo nei confronti del conflitto russo-ucraino, inteso come quello iniziato nel 2014 con l’annessione russa della Crimea e l’invasione del Donbass. La capitale Minsk è stata la sede dei negoziati sugli omonimi accordi che prevedevano un cessate il fuoco tra le parti coinvolte e che avrebbero dovuto in teoria portare a un più comprensivo accordo di pace. Lukashenko ha inoltre resistito fino al 2021 alle pressioni russe di riconoscere la legittimità dell’illegale annessione della Crimea e ha sempre guardato con molto sospetto all’entusiasmo del Cremlino nei confronti di una maggiore integrazione tra i due Paesi.
Le cose sono cambiate nel 2020, quando l’ondata di proteste popolari contro l’abituale irregolarità delle elezioni presidenziali è stata soppressa con la forza dalle autorità bielorusse. In quell’occasione, i Paesi occidentali hanno duramente condannato la condotta del regime di Lukashenko, hanno imposto sanzioni e il Parlamento Europeo ha dato voce alla sua principale oppositrice politica; Mosca ha invece dato manforte a Minsk nella repressione del dissenso e ne ha approfittato per integrarla sempre di più nella sua sfera d’influenza.
Sebbene la Bielorussia si sia rifiutata finora di mandare le sue truppe a combattere in Ucraina, Lukashenko ha comunque permesso che il territorio del suo Paese venga utilizzato per lanciare l’invasione del 2022, complice la vicinanza tra Kyiv e il confine bielorusso. A oggi, aerei da guerra russi fanno ancora uso degli aeroporti bielorussi per le loro operazioni militari, Minsk rifornisce l’esercito russo di munizioni e occasionalmente di benzina, e funge da intermediario commerciale di Mosca per quei beni tecnologico-militari sotto sanzioni occidentali. A ulteriore riprova dello status della Bielorussia come alleato strategico della Russia dallo scoppio della guerra, Lukashenko ha annunciato il dispiegamento di armi nucleari tattiche russe sul territorio bielorusso, ribadendo lo strettissimo rapporto tra i due Paesi. Inoltre, Minsk ha recentemente iniziato un graduale ammassamento di truppe al confine, reminiscente di quello russo subito prima dell’invasione. Queste insolite manovre militari fanno temere un potenziale maggior coinvolgimento della Bielorussia nel conflitto.
Per via della guerra in Ucraina, l’importanza della Bielorussia come alleato è aumentata drasticamente per la Russia, ma è sempre quest’ultima a dettare le regole della loro relazione. Lukashenko preferirebbe indubbiamente avere più libertà nel gestire gli affari del proprio Paese, ma l’isolamento diplomatico e la dipendenza dal suo ingombrante vicino rendono la Bielorussia sempre più un protettorato di Mosca.
Iran e Corea del Nord: alleati di convenienza

I regimi autoritari di Teheran e Pyongyang condividono con Mosca un fervente antiamericanismo, alimentato dal supporto di Washington per i loro rispettivi acerrimi nemici: Israele e Corea del Sud. Adesso che la Russia condivide con l’Iran e la Corea del Nord anche il fardello delle sanzioni occidentali, Mosca vede in questi due Paesi dei potenziali alleati per risollevare la sua deteriorante situazione logistica nella guerra in Ucraina.
Sia Teheran che Pyongyang riforniscono le forze armate russe di munizioni per l’artiglieria, dall’Iran in particolare provengono i famigerati droni Shahed che da mesi seminano il terrore nelle città ucraine, una fabbrica per la loro produzione è stata aperta su suolo russo con l’aiuto degli iraniani. La Repubblica Islamica ha persino condiviso con la Russia parte del suo arsenale di missili balistici di fabbricazione domestica, di cui è molto gelosa per via della loro importanza strategica nella regione mediorientale. In cambio, Teheran punta a mettere le mani sulla tecnologia militare russa, in particolare nel campo della missilistica e dell’aeronautica, nella speranza che una vittoria russa in Ucraina porti a una maggior flusso di investimenti di Mosca verso l’Iran. C’è anche la possibilità che i russi condividano la loro expertise in campo nucleare con gli iraniani, con il rischio che in futuro la Russia possa rinnegare la sua attuale avversione allo sviluppo di armi nucleari iraniane per contrastare l’influenza americana in Medio Oriente. Russia e Iran condividono già da anni una partnership strategica in Siria al fianco del regime di Bashar Al-Assad e ora hanno anche un interesse comune nel prolungamento della guerra tra Israele e Hamas, per l’instabilità che il conflitto porta al primo nel caso di Teheran e per l’attenzione distolta dalla guerra in Ucraina nel caso di Mosca. Negli ultimi mesi, dirigenti di Hamas sono stati ospiti del Cremlino, il quale è sospettato dall’intelligence americana di aver fornito armi a milizie filo-iraniane, tra cui Hezbollah, ed ha anche esplicitamente allineato la sua posizione sulla questione palestinese a quella dell’Iran.
Con Kim Jong-Un, Putin ha firmato un patto di difesa reciproca durante la sua prima visita a Pyongyang dal 2000. L’accordo prevede l’obbligo di intervento per entrambe le parti qualora ognuna delle due venisse aggredita da un Paese terzo, visto che né la Corea del Nord né la Russia rischiano di essere aggredite, lo sviluppo diplomatico serve piuttosto a segnalare il rafforzamento della cooperazione tra i due Paesi e pone la base di un rapporto tra de facto alleati. Non è chiaro quali obbligazioni preveda l’accordo per la Corea del Nord nei confronti dell’incursione ucraina nell’oblast di Kursk, difficilmente qualificabile come aggressione. Pyongyang ha già rifornito l’esercito russo di colpi d’artiglieria e sono state per il momento smentite le voci su un imminente invio di truppe nordcoreane in Ucraina, ma non è escluso che ciò non avvenga nel futuro prossimo. Oltre alla cooperazione in campo militare e nucleare, la Corea del Nord cerca nell’alleanza con la Russia un modo per alleviare il peso delle sanzioni occidentali e una fonte aggiuntiva di aiuti oltre al tradizionale monopolio cinese sul sostegno a Pyongyang.
Sia Iran che Corea del Nord si sono fatti avanti come alleati della Russia sfruttando l’occasione della guerra in Ucraina sperando di strappare a Mosca quanti più benefici possibili in nome di un presunto fronte comune contro la superpotenza americana. La Russia non avrebbe bisogno di tali alleati se non fosse per le difficoltà che sta incontrando sul fronte, questa condotta aumenta la sua dipendenza da Paesi diplomaticamente isolati e spinge i loro avversari, Israele e Corea del Sud, a schierarsi sempre più apertamente con Kyiv.
La Cina: una partnership ambigua

Appena 20 giorni prima dell’invasione dell’Ucraina, Putin ha firmato a Pechino con il presidente cinese Xi Jinping un accordo di “partnership senza limiti”, animata dall’opposizione condivisa all’egemonia globale americana; non è chiaro se Xi fosse a conoscenza dei piani russi per l’invasione.
Pechino mantiene ufficialmente una posizione neutrale nei riguardi del conflitto, presentando persino una vaga proposta di pace in 12 punti che ha ricevuto l’encomio dei russi ed è stata accolta freddamente dagli ucraini. Ma la Cina ha sposato apertamente la retorica della Russia sulla guerra e sulle sue ragioni, scaricando pubblicamente l’intera responsabilità del conflitto sulla NATO.
Pechino è diventata un importante partner diplomatico di Mosca, rafforzando la classica cooperazione nei fora internazionali dall’inizio dell’invasione. Anche i rapporti commerciali tra i due Paesi hanno da allora visto un significativo rilancio, con buona parte della componentistica militare sotto sanzioni occidentali che viene importata in Russia tramite la Cina, non ci sono prove che però dimostrino l’invio di materiale militare vero e proprio.
La Russia sta diventando sempre più dipendente dalla Cina per quanto riguarda le sue esportazioni, entrambi però necessitano di un alleato per tenere testa agli Stati Uniti e realizzare le loro rispettive visioni di un mondo multipolare. Mosca e Pechino si coprono le spalle a vicenda quando hanno a che fare con i Paesi occidentali e anche se probabilmente la Cina avrebbe preferito che la Russia intraprendesse una strategia diversa in Ucraina, non può che preferire una vittoria russa a una ucraina, per distogliere le attenzioni americane dall’Indo-Pacifico.
Ma se non fosse per l’avversione nei confronti di Washington, la cooperazione tra i due Paesi sarebbe estremamente più complessa e potrebbe persino tramutarsi in ostilità viste le concrete divergenze di interessi laddove l’Occidente non rappresenta per loro un problema.
*Il presidente russo Vladimir Putin e il ministro degli esteri Sergei Lavrov durante una riunione al Cremlino [crediti foto: Presidenza della Federazione russa via Wikimedia]





