Gli albori
Nato a Milano nel 1934, da una famiglia socialista, Craxi muove i primi passi nella politica italiana durante gli anni universitari. Tesserato nel PSI dall’età di 17 anni, intraprende la carriera politica diventando dirigenti della Federazione Giovanile Socialista e attraverso diversi incarichi all’interno delle formazioni rappresentative studentesche. Fin dall’invasione sovietica dell’Ungheria esprime il suo dissenso nei confronti dell’URSS, quello che sarà uno dei leitmotiv della sua segreteria. Eletto per la prima volta deputato nel 1968, il “pupillo di Nenni” diviene leader del partito socialista in seguito al tonfo elettorale del PSI avvenuto alle politiche del 1976, quando il partito socialista cade sotto la soglia psicologica del 10%.
La segreteria
La segreteria Craxiana, cominciata in circostanze piuttosto straordinarie– la sua elezione a segretario avviene al congresso del Midas– si distingue per il forte mutamento impresso alla natura dell’allora Partito Socialista. Un profondo revisionismo ideologico abbandona l’idea marxista di un comunismo burocratico e totalitario e abbraccia un socialismo democratico e liberale, rivalutando la figura e il pensiero di pensatori come Prouhdon.
Le differenze a livello ideologico si riflettono anche a livello “pratico”. Craxi sposa la “soluzione umanitaria” in seguito al rapimento Moro, addossandosi le critiche del “partito della fermezza”, di cui faceva parte anche il PCI. il Partito Socialista cerca di creare uno spazio e una dimensione autonoma da quella filo-comunista. In questa direzione va la scelta di riprendere il garofano rosso come unico simbolo del partito, abbandonando la falce e il martello. Da un punto di vista comunicativo, Craxi demarca una forte cesura dal vecchio stile comunicativo politico, svecchia il “politichese” ed è attivamente convolto in quel processo di commistione tra politica e spettacolo altresì noto come politainment. Craxi stravolge il paradigma comunicativo, porta avanti un processo di personalizzazione e mediatizzazione della politica esatti dalla mutata società post-moderna.
Al potere
La conquista di Roma da parte del leader milanese non avviene attraverso i voti. Il PSI rimane il terzo partito, ma la forza di quel 10-15% permettono a Craxi di essere l’ago della bilancia del pentapartito.
In politica interna, i punti cardinali dell’operato craxiano sono la lotta all’inflazione, uno dei flagelli economici dell’Italia degli anni 80. La storica battaglia contro il PCI per l’abolizione la “scala mobile”, ovvero l’indicizzazione dei contratti, lo vede vincitore nel 1985. Craxi rivede gli accordi con il Vaticano, e dopo il concordato con la Santa Sede il cattolicesimo cessa di essere religione di stato e viene introdotto l’8 per mille. Durante gli anni di Craxi nasce anche l’impero Berlusconi, caro amico del leader socialista. Attraverso il decreto Berlusconi prima e la Legge Mammì poi, si compie la liberalizzazione delle telecomunicazioni. Cambia la Rai, che non è più feudo esclusivo della DC e fanno fortuna le reti Mediaset. Ma non solo, gli anni di Craxi sono, purtroppo, anche gli anni dell’esplosione del debito pubblico, che passa dal 69% del PIL al 92%, per poi toccare la vetta del 116% nel 1993.
Sigonella è l’emblema della politica estera craxiana. I suoi governi sono caratterizzati da un forte europeismo, negli anni in cui il processo di integrazione europea vede il suo completamento con la firma del trattato di Maastricht, e un moderato atlantismo. Craxi adotta una linea autonoma, sposando alcune cause terzomondiste, talvolta anche in conflitto con gli Stati Uniti. Supporta la causa palestinese appoggiando l’OLP, stringe buoni rapporti con Gheddafi, ed è amico di Allende.
La caduta
L’impero Craxi cade nel 1992, dove in seguito all’inchiesta Mani Pulite, il cinghialone– l’epiteto datogli da Vittorio Feltri in quegli anni– viene travolto dal processo Enimont. Rimangono negli annali il suo interrogatorio pubblico con Di Pietro e il suo discorso al parlamento del 29 Aprile 1993 (“la democrazia, piaccia o no, ha dei costi”). L’episodio dell’Hotel Rafael, le monetine e la fine non solo di un gigante della politica italiana, ma anche di quel sistema politico che aveva accompagnato l’Italia del secondo dopoguerra verso la ricchezza e il benessere diffuso. Cade Craxi, cade la DC e cade la prima Repubblica. Inizia l’esilio, o latitanza a seconda dei punti di vista, ad Hammamet, dove Craxi muore nel 19 gennaio del 2000.
Il ricordo
A 20 anni dalla morte del leader socialista, un vero e proprio revisionismo storico è in atto nei confronti di Craxi. Dopo il linciaggio mediatico e la damnatio memoriae subite negli anni di tangentopoli, una parziale riabilitazione della sua figura agli occhi dell’ opinione pubblica è in corso. Berlusconi, suo vecchio amico, lo ha definito uno “statista” al pari di De Gasperi e Churcill; Renzi ne ha riconosciuto alcune grandi idee innovative, definendo la classe politica della prima repubblica come dei giganti a confronto con i politici odierni. Giorgio Gori, sulle pagine de Il Foglio, ha provato a tracciare un bilancio del suo operato e delle sue battaglie all’interno della sinistra con il PCI di Enrico Berlinguer. C’è anche chi, poi, si rifiuta di prendere parte a questo processo di “beatificazione” post mortem, come Marco Travaglio che evidenzia il cattivo operato di Craxi “al netto delle tangenti”.
Insomma, è ineluttabile che la figura di Craxi, a 20 anni dalla sua morte, rimanga ancora estremamente divisiva. Risulta perciò difficile delineare chi e cosa è stato Bettino Craxi, è però molto semplice descrivere cosa non è stato il leader socialista: né un santo né un ladro.