L’eredità nordamericana
A partire dagli anni della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati europei rinunciarono definitivamente ad ogni influenza nella regione. Le élite politiche dei Paesi latino-americani, deboli e senza influenza sulle politiche pubbliche, si affidarono al Fondo Monetario Internazionale per ottenere il credito necessario a governare, esponendosi maggiormente agli interessi politici ed economici statunitensi nell’area. L’approdo latino-americano nel sistema Bretton Woods, venne quindi accompagnato da forti pressioni politiche. La dottrina della sicurezza nazionale, che per molti dittatori sudamericani del secondo dopoguerra ha costituito la base della filosofia politica e il modello di sviluppo della società, ha quindi risentito fortemente dell’impostazione sociale ed economica tipicamente nordamericana, e dei sui suoi valori ideologici.
Il successo della guerriglia castrista e la successiva radicalizzazione del regime cubano negli anni ‘50 e ‘60 costrinse però sia gli Stati Uniti, sia i loro alleati locali a riconsiderare il proprio atteggiamento. Tra il 1952 e 1958, attraverso i programmi bilaterali di aiuto militare (MAP), gli USA fornirono agli eserciti dell’America del Sud armamenti e agenti per l’addestramento. Negli anni ‘70 la CIA collaborò con i servizi di intelligence di Cile, Argentina, Bolivia, Paraguay e Uruguay per l’elaborazione del “Plan Condor”, un piano per l’eliminazione degli oppositori di sinistra in questi Paesi.
La professionalizzazione e le origini sociali dei militari
Gli Stati Uniti hanno finanziato alcune delle principali scuole superiori delle Forze Armate sudamericane, le quali – frequentate non solo da alti ufficiali, ma anche da personalità dell’industria, della finanza, del clero e del mondo accademico – divennero “centri per la programmazione di obiettivi nazionali”. Qui nacquero e si svilupparono le teorie e ideologie che guidarono i regimi militari. In Brasile, ad esempio, venne fondato il Colejo Nacional de Guerra, mentre in Perù il Centro de altos estudios Militares (CAEM). Di conseguenza, si potè assistere a una progressiva professionalizzazione del militarismo sudamericano, intesa come l’acquisizione, da parte dei militari, di maggiori conoscenze teoriche e di una maggiore sicurezza nella capacità di governare, che portò alla loro trasformazione in veri e propri corpi differenziati dal resto della società, coesi e dotati di un’ideologia propria.
Quella dei militari costituisce, a metà del XX secolo, una delle classi più agiate delle società sudamericane, spesso a causa dell’origine europea dei suoi esponenti. E’ questo il caso di alcuni dei principali dittatori degli anni ‘70: il generale cileno Augusto Pinochet era figlio di un medico di origini francesi, mentre Alfredo Stroessner, generale e dittatore paraguayano, discendeva da immigrati tedeschi. Non aveva origini europee, ma apparteneva al ceto più altolocato, Jorge Videla, generale e dittatore argentino, figlio di un colonnello, che frequentò le Escuelas de las Americas a Panama, finanziate dagli Stati Uniti. Le forze armate erano riuscite a infiltrarsi negli strati più alti e nella classe dirigente della società, tanto da diventare un gruppo di pressione potente e politicizzato capace di intervenire per destituire governi in carica. Il principale obiettivo politico, prevedibilmente, ruotava intorno allo status quo, l’anticomunismo e il mantenimento dell’ordine sociale.
Il prestigio dei militari
Tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni 2000, con la fine di dittature del subcontinente americano, la transizione democratica, la globalizzazione e l’internazionalizzazione, l’appartenenza al ceto militare perse la sua valenza sociale. Oggi entrare nelle forze armate non è più una questione di prestigio e di status, ma piuttosto di “plata” (denaro).
Ciò non significa che i militari non ricoprano più cariche politiche importanti, anzi, nella maggior parte dei governi di oggi i militari affiancano i presidenti durante le conferenze, hanno poteri decisionali riguardo politiche pubbliche e sociali, e hanno uno stipendio molto elevato.
Questo potere è l’eredità delle dittature che, pur essendo collassate per pressioni interne, hanno spesso lasciato forti strascichi nella società odierna. In Cile, lo stesso Pinochet ha indotto un referendum per la transizione alla democrazia e ha lasciato il posto al nuovo presidente Aylwin del Partito democratico cristiano. Per anni i militari responsabili delle atrocità delle dittature hanno quindi potuto godere di protezione e immunità. Pinochet, Banzer, Stroessner e Bordaberry, morirono tutti prima di poter essere condannati.
Il ruolo delle Forze Armate nei nuovi regimi di sinistra
Negli anni 2000 un’ondata di partiti e leader di sinistra ha profondamente modificato lo scenario politico del continente: nel 2003, Luiz Inácio Lula da Silva fu eletto presidente del Brasile e Néstor Kirchner ottenne il potere in Argentina dopo la crisi politica del 2001, mentre nel 2004 Tabaré Vázquez vinse le elezioni presidenziali in Uruguay con il sostegno del Frente Amplio-Encuentro Progresista-Nueva Mayoría. A loro si aggiungono Michelle Bachelet in Cile, Evo Morales in Bolivia, Rafael Correa in Ecuador.
I corpi militari nei Paesi governati dalla nuova sinistra hanno attraversato un processo di incorporazione in nuove missioni, senza però perdere di rilevanza: sono stati schierati per combattere la criminalità organizzata e il traffico di droga in Brasile, Bolivia, Ecuador e Venezuela. D’altra parte, i membri delle forze armate venezuelane hanno un ruolo chiave nei ministeri e nella burocrazia del paese. Quelle boliviane sono state utilizzate nell’attuazione delle politiche sociali. In Colombia la persistenza della violenza ha impedito una differenziazione dei poteri e ciò ha portato a una “militarizzazione” della polizia e, come specchio, a conferire ruoli propri della polizia ai militari. Inoltre, come rilevato dall’istituto internazionale di ricerca per la pace di Stoccolma (SIPRI) durante questi governi la spesa militare è cresciuta, nonostante la crisi del 2008-2009.
L’America del Sud al giorno d’oggi
Negli ultimi anni, se non giorni, le immagini che arrivano dai Paesi dell’America del Sud rappresentano presidenti circondati da comandanti delle forze armate, mentre i rispettivi Paesi attraversano gravi crisi politiche, sociali e istituzionali, e la conta delle vittime sale in seguito alla repressioni violente delle manifestazioni. Nel 2019 i governi di Ecuador, Cile e Bolivia hanno spesso utilizzato le forze armate per controllare le proteste. Il presidente del Cile, Sebastian Piñera, ha annunciato alla televisione nazionale che “era in guerra contro un nemico potente” riferendosi alla propria popolazione che stava manifestando in piazza. La sua risposta alle proteste, analoga a quella di molti altri presidenti sudamericani, è stata quella di impiegare i militari, fornire gli agenti di armi antisommossa e imporre il coprifuoco, annunciando lo stato di emergenza.
In tutto il mondo, i governi hanno intensificato le misure di controllo e contenimento della popolazione in risposta alla crisi sanitaria causata dal Covid-19. In America del Sud la partecipazione dei militari nell’amministrazione pubblica è aumentata notevolmente e ciò ha generato effetti negativi, quali la repressione violenta delle proteste, l’abuso di autorità da parte dei soldati incaricati di pattugliare le strade durante la pandemia e la violazione dei diritti umani. Nonostante ciò, la crisi economica dei primi anni 2000, i debiti con il fondo Monetario Internazionale e gli scandali di corruzione delle élites politiche hanno ulteriormente migliorato la percezione delle forze armate, viste dalla popolazione come unico elemento stabile del panorama politico, economico e sociale.