Spesso nel campo delle relazioni internazionali sentiamo parlare di tattiche e strategie. La strategia, nella guerra, negli affari e nella vita quotidiana, consiste in un piano d’azione completo e contingente per gestire un conflitto in un quadro allargato. Parliamo di tattica invece quando ci riferiamo alla singola battaglia, che influenza solo in parte la situazione in se. Per esempio, un errore strategico è stato compiuto da Hitler quando ha deciso di attaccare la Russia, rompendo il patto di non belligeranza. Egli vinse tutte le battaglie tattiche, ma perse in modo disastroso la battaglia di Stalingrado, che da molti è considerata l’evento che ha segnato lo spostamento degli equilibri durante la Seconda Guerra Mondiale. Ottima tattica quindi, ma pessima strategia.
In ogni scenario, grande o piccolo che sia, si possono riconoscere delle strategie. E molto spesso, strategie fallite. Possiamo parlarne riferendoci al nostro piccolo, a politici, a Stati o ad interi continenti, come l’Occidente.
Ma facciamo qualche passo indietro: partiamo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, solo 73 anni fa. Ricerche, tesi e dati statistici dimostrano che stiamo vivendo nel periodo di maggior benessere nella storia dell’umanità. Innanzitutto, è il periodo di pace più lungo dalla metà del secolo scorso. In secondo luogo, anche il livello medio di povertà sta diminuendo: infatti, nel 1950 tre quarti del mondo erano in una situazione di estrema povertà, mentre, al giorno d’oggi, questo dato è in continua diminuzione. L’OECD riporta addirittura che la classe media, che nel 2009 comprendeva 1.8 miliardi di persone, oggi ne conta circa 3 miliardi e nel 2030 ammonterà a 4.9 miliardi.
Sembra che ci stiamo lentamente dirigendo verso un lieto fine: il progetto occidentale architettato dalle potenze europee a partire dalla scoperta dell’America (1492) ha finalmente avuto successo: abbiamo adempiuto al “white man’s burden”, ovvero il fardello e la responsabilità dell’uomo bianco di acculturare i nativi, gli “incivili” nelle Americhe e in Africa. Quindi, possiamo festeggiare: i pilastri della democrazia, del liberalismo, della pace di Westphalia (1648) sono ormai diffusi e accettati in tutto il mondo e con essi anche la nostra religione, il nostro modo di vestire, i nostri valori. Perché dunque non vediamo nessuno festeggiare? Perché non ci mostriamo contenti di questo risultato ottenuto dopo secoli di sforzi?
Ci fornisce la risposta Kishore Mahbubani, ex ambasciatore di Singapore all’ONU, nel suo saggio intitolato “Has the West Lost it?” (ovvero “L’Occidente l’ha perso?”), domanda a cui risponde: “No, non ancora”. Egli infatti spiega che nessuno sta stappando champagne in Europa perché, tutti concentrati a diffondere i valori occidentali nel mondo, non abbiamo posto attenzione a tre eventi che invece la meritavano. Quali sono questi tre errori strategici che ci sono costati tanto cari?
Il primo errore strategico
Adagiarsi sugli allori e credere ciecamente nella tesi de “La fine della storia”, libro scritto da Francis Fukuyama nel 1992, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Questo saggio afferma come il processo di evoluzione dell’uomo dal punto di vista sociale, economico e politico abbia raggiunto l’apice alla fine del XX secolo, motivo per cui la Storia in quanto tale si sarebbe conclusa. Tale convinzione combinata alla presunzione che gli altri, il resto del mondo, dovesse adattarsi all’Occidente è stata deleteria: così, un’Europa accecata dal successo non ha visto che Paesi come la Cina e l’India si sono risvegliati e sono progressivamente diventati due potenze economiche in grado di sfidare l’America.
Il secondo errore strategico
Il secondo errore strategico è più facile da perdonare, perché si è verificato in una data simbolica della nuova era in cui viviamo: 11 settembre 2001. Questo giorno è stato segnato dal tragico attentato alle torri gemelle di New York. Per quanto questo avvenimento abbia meritato tutto il rispetto e l’attenzione della comunità internazionale, ha distratto l’attenzione pubblica e anche le autorità da un’altro evento fondamentale nella Storia avvenuto nello stesso anno: l’ammissione della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization, WTO).
Il terzo errore strategico
Infine, nel 2014 non abbiamo dato importanza al fatto che la Cina avesse superato l’America in quanto potenza in termini di PIL a parità di potere d’acquisto (un metodo per aggiustare i diversi livelli di costo della vita). Infatti, il PIL cinese ammontava a 17.600 miliardi di dollari, contro i 17.400 miliardi di quello americano. Al terzo posto, non sorprendentemente, l’India, che superò Giappone e Germania. Tuttavia, questo sorpasso saliente non fu considerato tale da un’America piena di “hybris”, di tracotanza, che non può pensare a se stessa come numero 2. E forse è anche per questo che l’attuale presidente degli Stati Uniti ha ottenuto il numero di consensi necessari a diventare capo di stato: dopotutto, egli desidera riportare l’America agli antichi splendori (“Make America Great Again”).
Esiste un rimedio?
L’occidente deve di conseguenza imparare a condividere con “il resto”, gli altri continenti, perché non è più solo: la “Cindia” è diventata una realtà dominante nei nuovi equilibri economici. Tuttavia, non è inevitabile che gli ultimi secoli di dominazione occidentale vengano spazzati via dalla potenza cinese. Nel suo saggio, Mahbubani individua tre soluzioni. Innanzitutto, occorre essere minimalisti, intervenendo solo di rado negli affari interni degli altri Paesi. Inoltre, è necessario diventare multilaterali, interdipendenti e consapevoli di essere immersi dentro un sistema di organizzazioni internazionali, che ci richiede di dare la precedenza alla cooperazione e all’aiuto reciproco. Infine, in politica e nelle relazioni internazionali occorre essere anche un po’ machiavelliani, pensando e promuovendo anche proprio interesse all’interno di un sistema che, in ogni caso, potremmo definire anarchico, dato che la legge internazionale non è ancora vincolante.