Non vanno molto d’accordo, nè possono vivere insieme, maestà e amore.
Ovidio, Metamorfosi, II, vv. 846 – 847
Nell’immaginario collettivo della mitologia greco-romana, Europa è una vergine eterea. Affascinata dalla bellezza di un toro bianco, nel quale si nasconde Zeus invaghito di lei, la fanciulla si siede sul dorso dell’animale ignara del pericolo che sta correndo. Viene così rapita dal re degli dei per non essere mai più liberata e dare alla luce Minosse, re dei Cretesi e padre del Minotauro.
Si potrebbe pensare che se Europa fosse stata più accorta forse non si sarebbe fatta ingannare dal lucido pelo di quel toro maestoso. Forse avrebbe riconosciuto in lui la sua fine, previsto l’avvento del terremoto che non lascia spazio ad alcun tipo di illazione. Magari invece, la sua cecità non è stata che un errore umano, errore dal quale è sorta una delle più antiche civiltà del Mediterraneo.
Supponiamo ora che Europa sia l’immagine dell’Unione Europea odierna, e Zeus lo spettro dei populismi, del deficit democratico, dell’instabilità finanziaria e del fenomeno migratorio. Supponiamo insomma che Zeus rappresenti la minaccia incombente per la solidità di un’Unione fragile e dall’incerto dinamismo. Dopo il rapimento, la storia di Europa può essere raccontata in due modi: un’Europa che crolla al volere di Zeus inerme, o un’Europa che, consapevole dell’ineluttabilità del proprio destino, usa Zeus come arma per rinascere, plasmando il futuro di una civiltà che darà il suo nome all’intero continente. I motivi per cui è vitale che sia questo il finale della storia europea sono racchiusi in un unico sintagma: sostenibilità a lungo termine.
Ecco perché.
Sostenibilità economica
I postumi della crisi finanziaria del 2008 hanno scatenato l’astio contro la comunità europea e le sue politiche economiche. Da una situazione drammatica sono nati i primi partiti populisti, a destra e a sinistra. In Italia il Movimento Cinque Stelle è diventato il nuovo protagonista della scena politica, Podemos e Syriza hanno primeggiato in Spagna e in Grecia, il Front National di Marine Le Pen ha spaventato per la prima volta la Francia liberale. In un clima sempre più apertamente nazionalista e sovranista, sono emerse chiaramente le istanze di natura economica più urgenti. La crisi ha messo in luce la fragilità del sistema finanziario europeo e internazionale, accentuato le disuguaglianze di reddito all’interno degli stati membri, compromesso la competitività del mercato europeo.
Ad oggi l’economia del continente, in linea con un trend positivo di portata globale, è in netto recupero. Ma se è vero che la crisi è almeno momentaneamente alle spalle, non si può fare l’errore di adagiarsi sui propri allori.
Garantire la stabilità del sistema finanziario e limitarne gli squilibri strutturali è la chiave per promuovere gli investimenti, facilitare la crescita economica e innalzare il livello occupazionale. Una riforma efficace del sistema finanziario prevederebbe la creazione di una vera unione finanziaria e bancaria europea, che dovrebbe tutelare creditori e contribuenti in caso di crisi tramite un’equa condivisione del rischio e una più stretta regolamentazione che, idealmente, dovrebbe prevenire una Troika 2.
In una prospettiva più ampia e meno tecnocratica, un’Europa divisa e lacerata dai conflitti interni e da una scarsa coesione sul fronte economico non potrebbe che soccombere di fronte all’enorme potenziale che la capacità di innovazione e il dinamismo economico dei giganti asiatici portano con sé. Una piccola impresa locale non ha possibilità di sopravvivenza se messa in competizione con una multinazionale: allo stesso modo, nessuno stato europeo potrebbe far fronte da solo alla fulminea espansione dei titani asiatici.
Sostenibilità ambientale
Respiriamo tutti la stessa aria, viviamo tutti sotto lo stesso cielo. In un contesto in cui anche le stime più ottimiste di contenimento delle temperature sono inquietanti, le risorse naturali e alimentari vengono sfruttate in modo insostenibile, la quantità di rifiuti prodotti mette a dura prova la capacità di smaltimento, un’azione comunitaria è necessaria per limitare i danni e progettare strategie di sostenibilità economico-ambientale a lungo termine. Senza un sistema di controllo che prescinda dalla lunaticità dei governi nazionali e dall’oscillazione imprevedibile dei fenomeni economici e sociali, non si può dare per scontata l’affidabilità dei singoli stati membri.
In questi anni l’Unione Europea ha raggiunto risultati insperati e implementato politiche per la sostenibilità ambientale piuttosto ambiziose. La strategia Europa2020 ha fra i suoi obiettivi la riduzione delle emissioni del 20% rispetto ai livelli registrati nel 1990 e l’incremento delle energie rinnovabili del 20%. Nel 2016, l’Europa ha registrato una riduzione di emissioni di gas ad effetto serra pari al 23% rispetto al 1990, superando il target iniziale con quattro anni di anticipo. La neonata Strategia per l’Economia Circolare finanzierà il riutilizzo di prodotti e la diminuzione di rifiuti ricavando il massimo valore da materie prime, favorendo i risparmi energetici e riducendo le emissioni di gas ad effetto serra; il Sistema per lo scambio delle quote di emissione, la Strategia per la Biodiversità, la Direttiva Habitat sono solo alcuni esempi di politiche che l’Europa ha adottato per garantire una transizione fluida verso una realtà maggiormente ecosostenibile.
Nelle parole di Al Gore, “Un antico proverbio africano dice: “ se volete andare in fretta, andate soli, se volete andare lontano, andate insieme. Dobbiamo andare lontano…in fretta”.
Sostenibilità sociale
L’uragano politico creato dalle ondate migratorie, dall’invecchiamento precoce della popolazione e dal conseguente fardello del sistema pensionistico e sanitario, dalla deregolamentazione del mercato del lavoro e dalla disoccupazione ha contribuito a creare in molti paesi europei una situazione che per il momento ha ben poco di sostenibile.
Tuttavia, giustizia e previdenza sociale, sanità pubblica, riduzione della povertà, crescita del livello occupazionale, educazione e formazione professionale, integrazione e pari opportunità costituiscono il fulcro del modello sociale europeo. Nonostante la sua applicazione vari notevolmente da stato a stato, strumenti quale il Fondo Sociale Europeo e il Fondo di coesione per lo sviluppo regionale, progetti di scambio culturale come Erasmus e Erasmus+, il monitoraggio del grado di mobilità sociale e dello stato delle disuguaglianze contribuiscono a fare dell’Europa il continente con uno fra i più alti tenori di vita al mondo.
Se l’Unione Europea fosse un idillio, non avremmo ragione di farne qui l’arringa. La gestione tecnocratica, quasi frigida, della crisi greca, la mancanza di strategie di comunicazione e sensibilizzazione puntuali, il controverso rapporto con i paesi del gruppo di Visegrad e il mancato coordinamento politico e amministrativo sul fenomeno migratorio, il deficit democratico e la scarsa presenza di rappresentazione elettorale diretta, hanno corroso la fiducia dei cittadini nel progetto europeo. Ma un sottile sipario sembra essere calato su questioni che, ad oggi, dovrebbero costituire il fulcro della discussione circa la strategia politica dell’Unione. Macro-questioni quali il cambiamento climatico e lo scriteriato sfruttamento delle risorse naturali e alimentari, l’aumento delle diseguaglianze economiche e l’instabilità finanziaria, il progressivo invecchiamento della popolazione, la “crisi” migratoria, richiedono soluzioni che rientrano sotto un’unica, grande etichetta: integrazione. E se la costruzione di un futuro sostenibile non può prescindere dalla progettazione di strategie comunitarie a lungo termine, non possiamo fare a meno di individuare nell’Unione Europea il migliore strumento che possediamo per conseguirle.
Se maestà e amore non possono convivere, forse l’Unione Europea, seppur imperfetta, potrebbe farsi apprezzare da chi ora la accusa. Forse, il ratto di Zeus non è stato poi così deleterio per Europa.