fbpx

INDIPENDENTI, COSTRUTTIVI, ACCESSIBILI

Home Analisi Dio perdona, Google no. L'importanza del diritto all'oblio

Dio perdona, Google no. L’importanza del diritto all’oblio

Tempo di lettura stimato: 6 min.

-

Inserendo il proprio nome su un motore di ricerca sarà capitato a tutti di imbattersi in vecchie foto o articoli in cui si viene citati, pubblicati magari su un quotidiano online, sul sito del liceo o su una pagina di eventi locali. Per alcuni ciò può essere fonte di imbarazzo ma per altri costituisce un vero e proprio ostacolo: ci sono casi in cui l’unica cosa che si desidera è essere dimenticati. Esiste un diritto che garantisce esplicitamente questo, il cosiddetto diritto all’oblio.

Per un ex detenuto può essere impossibile ricostruire la propria vita a causa della ripubblicazione del fatto di cui era colpevole o del ritorno in auge di tale fatto online. O più semplicemente, la reputazione di chiunque potrebbe essere compromessa se il proprio nome viene reso pubblico ed associato al coinvolgimento in una vicenda giudiziaria, nonostante alla fine non risulti colpevole.

L’avvento di internet e dell’informazione online ha potenziato il problema. Nell’era predigitale la norma era “scordare” e solo la ripubblicazione di un fatto poteva riportarlo all’attenzione dell’opinione pubblica. Oggi invece è normale il “ricordare”: internet non dimentica poiché i dati caricati in rete permangono e sono sempre a disposizione dei lettori. È importante dunque chiedersi: quando dovremmo dimenticare e quando invece ricordare? Quali fatti possono definirsi di interesse pubblico? Quando la curiosità o addirittura la morbosità della cronaca può portare a ledere la dignità personale?

Diritto all’oblio o diritto di cronaca?

Il diritto all’oblio è protetto dall’articolo 17 del General Data Protection Regulation (GDPR), dove è definito come un diritto alla cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata. In altre parole, esso tutela il volere dell’individuo che non desidera la pubblicazione o ripubblicazione di dati che lo riguardano ma ormai lontani nel tempo o irrilevanti ai fini di cronaca. L’articolo prevede che l’interessato possa richiedere e ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali in determinati casi (se non sono più necessari allo scopo originario, se l’interessato revoca il consenso o si oppone al trattamento in assenza di impedimenti giudiziari, se i dati sono stati trattati illecitamente, se devono essere cancellati per adempiere a un obbligo giuridico o se sono riferiti a un minore).

Questo diritto è, secondo l’interpretazione corrente, speculare al diritto di cronaca, protetto dall’articolo 21 della costituzione italiana: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure (…)”. Si scontrano due necessità: da una parte la protezione della privacy e della dignità personale, dall’altra il diritto all’informazione. Tutelare il diritto del singolo o quello della comunità a conoscere ed essere informata?

Quando la cronaca si fa storia

Il problema è stato affrontato più volte e, con il tempo, sono stati tracciati limiti se non netti almeno più chiari. In particolare, nella sentenza del 22 luglio 2019 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è espressa in merito alla ripubblicazione da parte di un quotidiano locale di un fatto di cronaca nera che conteneva riferimenti espliciti all’identità dell’interessato. La vicenda era quella di un uomo colpevole di aver ucciso la moglie 27 anni prima e che, dopo aver scontato la pena, era riuscito a reinserirsi nel contesto sociale e lavorativo, come artigiano. La pubblicazione dell’articolo aveva avuto conseguenze negative sulla salute dell’uomo e sulla sua attività lavorativa; pertanto, egli aveva citato in giudizio la testata giornalistica. La corte aveva sottolineato che il diritto di cronaca e il racconto “della verità” non deve ledere diritti fondamentali quali la dignità e la riservatezza.

Proprio in questo caso, la Corte aveva chiarito le tre circostanze in cui si può parlare di diritto all’oblio: la ripubblicazione indesiderata di vicende lontane nel tempo, la reperibilità in rete di notizie passate ma non aggiornate e la cancellazione dei propri dati in rete.

Il caso in questione ricadeva nella prima categoria e, poiché si trattava del racconto di un evento lontano nel tempo, era da considerare storia. L’attività storiografica, per quanto preziosa, non è protetta dalla costituzione e, a meno che non riguardi personaggi che hanno rivestito o rivestono un ruolo pubblico, deve svolgersi in forma anonima.

Anche una notizia vera può diventare falsa

Per quanto riguarda la seconda circostanza, il diritto all’oblio e il diritto di cronaca sono complementari. Una determinata notizia diventa “falsa” quando non è aggiornata, quando non sussiste più un’utilità sociale ad informare il pubblico oppure quando l’esposizione mediatica è sproporzionata all’esigenza di informare. È allora che decade il diritto di cronaca e subentra quello all’oblio.

La soluzione è una sintesi di entrambi. Si può richiedere che siano rimosse e/o ricontestualizzate informazioni personali in modo da evitare lesioni all’immagine sociale o alla dignità della persona o, ancora, che eventi ormai passati possano incidere sulla costruzione della vita e dell’immagine presente.

È difficile però stabilire un confine netto, ne è un esempio la sentenza del 26 giugno 2013. La vicenda coinvolgeva un ex terrorista degli anni di piombo, condannato a una pena detentiva che aveva poi scontato, e che si era faticosamente reinserito nella società, per poi vedere la propria vicenda riportata all’attenzione mediatica. Un giornale aveva infatti ripubblicato la sua storia accostandola al ritrovamento di un arsenale di armi vicino al suo luogo di residenza. In questo caso gli ermellini (i giudici di Cassazione) avevano riconosciuto all’interessato il diritto all’oblio.

In una sentenza successiva del 2016, la Corte di Cassazione si è spinta a fissare una sorta di data di scadenza per la permanenza di una notizia in rete: trascorsi due anni e mezzo può essere richiesta la cancellazione di un articolo online.  

Google Spain: è possibile far dimenticare anche internet? 

Forse il caso più famoso e rilevante, appartenente alla terza categoria, è Google Spain SL e Google Inc. contro l’Agencia Española de Protección de Datos e Mario Costeja González (causa C−131/12) in cui il ricorrente aveva chiesto l’eliminazione di dati personali ritenuti non più attuali e pubblicati online sul giornale “LaVanguardia Editiones SL”, prima al giornale stesso e poi a Google. In particolare, egli chiedeva “… che fosse ordinato a Google Spain o a Google Inc. di eliminare o di occultare i suoi dati personali, in modo che cessassero di comparire tra i risultati di ricerca e non figurassero più nei link di La Vanguardia”. L’Agencia Espano͂la de Proteccion de Datos (AEPD) ne aveva ordinato l’eliminazione ma Google aveva rifiutato di adempiere alla richiesta in quanto, secondo l’azienda, era una limitazione della libertà d’espressione dei gestori dei siti internet. La Corte Suprema Spagnola aveva riferito alla Corte di Giustizia alcune questioni riguardanti il caso.

In questo caso il diritto all’oblio implicava la cancellazione o meglio la deindicizzazione di pagine su internet. Indicizzare significa catalogare un sito o una notizia in un motore di ricerca, di modo che esso abbia le indicazioni utili per mostrarlo nelle pagine quando un utente cerca frasi o parole attinenti. Google è stato considerato dalla Corte di Giustizia titolare del trattamento dei dati e, in quanto tale, responsabile della verifica di deindicizzazione di notizie o fatti non più attuali. Affermare l’obbligo alla deindicizzazione per il gestore di un motore di ricerca vuol dire imporre dei limiti all’assoluta libertà del web.

La decisione della corte ha suscitato molte critiche e il tema rimane sicuramente controverso. Da una parte, spaventa l’idea che la verità possa essere in qualche modo modificata, dall’altra, immedesimarsi nei casi di cui sopra permette di capire l’importanza dell’anonimato e della riservatezza. Si tratta di questioni delicate e di un confine molto labile tra due diritti di uguale importanza. Per questo, l’intervento giuridico e soprattutto l’interpretazione caso per caso sono stati fondamentali e restano tuttora necessari.

*Diritto all’oblio [crediti foto: Pexels via Pixabay]

Commenta

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

3,900FansMi piace
29,200FollowerSegui
1,500FollowerSegui
1,000FollowerSegui