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Dall’esorcista all’Esorciccio, passando per la Diciotti: la disastrosa agenda della politica italiana

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A inizio giugno il Governo Conte si era presentato come il “Governo del Cambiamento”. Da allora sono stati tantissimi i critici e i sostenitori di questo tanto sbandierato cambiamento, descritto, a seconda dei ruoli, o come una catastrofe già in atto o come un miracolo ormai inarrestabile. Eppure, a ben guardare, i gialloverdi hanno fallito nel rivoluzionare uno dei problemi più importanti che affligge cronicamente il nostro Paese fin dalla nascita della Seconda Repubblica: l’agenda-setting, ovvero la scelta delle notizie considerate e a cui viene data maggiore attenzione da parte dei media, dei politici e quindi dell’opinione pubblica.

Di fronte a una situazione economica complessa e a una recessione tecnica come quella in cui si trova l’Italia, sarebbe forse il caso che la politica parlasse prevalentemente di come creare nuovi posti di lavoro, come combattere il precariato, come uscire da una spirale demografica perversa, che vede sempre più pochi giovani lavoratori con sempre più pensionati a carico. Senza parlare del cambiamento climatico, che pone sfide sempre più ardue, come quella delle conseguenti migrazioni davanti alle quali una risposta che chiude le porte a chi scappa dalla fame, ma non ai problemi che l’hanno causata oltre a essere inumana è tragicomica. E invece oggi, lunedì 18 febbraio 2019, di cosa si parla in Italia? Del processo al Ministro dell’Interno Matteo Salvini e, nello specifico, del voto sulla piattaforma Rousseau da parte degli iscritti M5S sull’autorizzazione a procedere contro il ministro. Tralasciando la pochezza di una classe dirigente che, ogni volta che non sa che pesci prendere, ricorre alla propria base secondo il motto “sono il vostro capo, vi seguo”, la cosa più sconcertante è l’elemento di continuità con il recente passato della politica italiana: ancora una volta la situazione è paralizzata da un processo a un esponente pubblico. È dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, infatti, che in Italia, invece di parlare di lavoro, ambiente e disuguaglianze, i principali partiti italiani si schierano come tifoserie su ogni processo che vede coinvolti uno dei loro rappresentanti. E il punto non è semplicemente l’amarezza nel constatare che, come dice l’attuale presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Piercamillo Davigo, Mani Pulite è servita semplicemente a fare selezione naturale dei corrotti della politica italiana, facendo fuori i più fessi e lasciando a piede libero i più scaltri, ma soprattutto la rabbia nel vedere, ancora una volta, chi viene eletto per occuparsi dei problemi della nazione accapigliarsi su una questione che il buon senso di uno stato democratico imporrebbe di non considerare neanche: se un tribunale della Repubblica possa indagare come un normale cittadino un rappresentante politico.

Insomma il primo governo della Terza Repubblica rischia di cadere esattamente come era caduto il primo della Seconda: nel ’94 fu Umberto Bossi a far cadere Silvio Berlusconi perché indagato (di lì a poco l’imbarazzo gli sarebbe passato), mentre oggi potrebbe essere la base dei 5Stelle a volere Matteo Salvini indagato e a portare a una crisi di governo. Pur se differente nelle tipologie di reato, la situazione è dunque rimasta immutata anche con l’arrivo al governo dei grillini dell’“onestà, onestà”. E non c’è nulla di cui rallegrarsi, perché nel frattempo il disagio economico di questo Paese continua a montare, a causa di sempre più evidenti dinamiche di disuguaglianze che tutti i partiti continuano a ignorare. Di fronte a questa rabbia c’è chi, come Salvini, cerca di cavalcarla additando come causa di tutti i mali un problema sostanzialmente secondario come quello dell’immigrazione; c’è chi, come i 5stelle, preferisce ignorarlo, illudendo milioni di italiani con il reddito di cittadinanza, che alla social card di Berlusconi ha davvero poco da invidiare; e poi c’è chi, come il Partito Democratico, dovrebbe farsene portavoce e invece preferisce dare degli “analfabeti funzionali” a chi ne soffre. E così in questa agenda-setting fra il grottesco e l’horror la nomina dell’ex Esorciccio Lino Banfi all’Unesco diventa un caso da politica nazionale, il Ministero dell’Istruzione guidato dal leghista Marco Bussetti, di fronte a 4 miliardi di tagli, sente l’incontenibile bisogno di pagare un corso per esorcismo ai propri insegnanti mentre la vittoria di Mahmood al festival di Sanremo vede il Pd esultante come non mai (forse perché non hanno ancora letto i risultati delle ultime elezioni in Abruzzo), Matteo Salvini pro Ultimo e Luigi Di Maio (quello di “fuori i partiti dalla Rai”) che non può fare a meno di invocare il cambio del sistema elettorale sanremese.

Nel frattempo però le disuguaglianze rimangono lì e anzi crescono e viene spontaneo chiedersi che cosa faranno i nostri politici quando, dopo avere incolpato i neri, i “professoroni”, i critici musicali, gli italiani si renderanno conto che i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Daranno la colpa a Fabio Fazio? A no, scusate, l’hanno già fatto.

 

Giunio Panarelli
Nato a Bologna, ma cresciuto salentino, frequento il corso di laurea magistrale in Politics and Policy Analysis in Bocconi. Da febbraio 2020 sono caporedattore di Oripo quindi se vi piace quello che leggete è merito mio se non vi piace è colpa degli autori. Nel 2018 è uscito per Edizioni Montag il mio primo libro "La notte degli indicibili". Un chiaro segno della crisi dell’editoria italiana.

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