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Ora o mai più: il PNRR per aumentare la natalità in Italia

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Il PNRR assegna dei fondi per la costruzione, riqualificazione e messa in sicurezza di asili nido e scuole dell’infanzia, ma l’Italia sta riscontrando significativi ritardi su questa misura, e si è vista costretta a posticipare più volte la scadenza per l’affidamento dei lavori. L’intervento è di grande importanza perché potrebbe avere un ruolo nell’aumentare il tasso di natalità e contrastare il cosiddetto “inverno demografico”, anche favorendo una maggiore occupazione delle madri italiane. Come si legge nel testo dell’Avviso rivolto ai comuni, lo scopo è quello di “offrire un concreto aiuto alle famiglie, incoraggiando la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la conciliazione tra vita familiare e professionale”. Ma è corretto ipotizzare che un più ampio servizio di asili abbia un ruolo negli andamenti demografici del futuro?

L’intervento del PNRR e i ripetuti ritardi

L’intervento per la prima infanzia, che ammonta a 4,6 miliardi di euro, ha l’obiettivo di raggiungere la soglia di disponibilità del 33% dei posti rispetto al totale dei bambini sotto i 3 anni (dunque un posto ogni circa 3 bambini), fissata dall’UE nel Consiglio europeo di Barcellona del 2002. A vent’anni dal Consiglio, come si vede dal grafico, l’Italia registra ancora una percentuale pari al 30,9 %, con ampi divari a sfavore delle famiglie del Mezzogiorno. Secondo i dati OCSE del 2020, in Italia solo il 26,4 di bambini da 0 a 2 anni sono iscritti a servizi della prima infanzia. A questo scopo, il target di livello europeo e nazionale prevede entro il 31 dicembre 2025 la creazione di almeno 264.480 nuovi posti tra asili nido e scuole di infanzia.

Questo stanziamento è una delle misure economiche più importanti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ed è anche il primo rilevante ritardo legato al fondo e oggetto di una possibile richiesta di proroga da parte del governo all’Europa sulla scadenza del 30 giugno. Infatti, entro la fine del mese il governo deve rispettare una serie di obiettivi per richiedere la quarta tranche dei fondi del PNRR, pari a 16 miliardi di euro. Tra questi c’è anche l’aggiudicazione dei lavori relativi agli interventi su asili nido e scuole per l’infanzia, ad opera dei più di duemila comuni aggiudicatari. La scadenza italiana, che era già stata prorogata di tre mesi a fine 2022, è stata nuovamente posticipata dal Ministero dell’Istruzione e del merito al 20 giugno 2023. Come si legge nella terza relazione semestrale sul PNRR l’obiettivo del governo è quello di aggiudicare entro giugno il numero massimo di interventi e proporre per quelli in ritardo misure di attuazione rafforzata per consentire il rispetto del predetto target finale.  

Le cause dei tempi prolungati

I ritardi hanno iniziato ad accumularsi già in fase di partecipazione ai bandi, per la mancata adesione di un numero consistente di Comuni. Come si legge in una relazione pubblicata lo scorso novembre dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) “nonostante le ingenti risorse destinate alla fascia di età 0-3 anni, lo scenario che si delinea mostra che parte delle debolezze strutturali che caratterizzano l’offerta del servizio potrebbero restare irrisolte”. In totale sono stati necessari quattro bandi per assegnare tutte le risorse, e negli ultimi mesi sono state 600 le richieste di modifica dei progetti a causa del rincaro dei materiali e dell’energia che ha costretto i comuni a rivedere i piani economici.

Secondo la Corte dei Conti, tra le cause dell’inadeguata risposta degli enti locali all’avviso pubblico ci potrebbero essere eccessive spese di gestione. Un’altra causa riguarderebbe la fase di affidamento, successiva alla pubblicazione delle graduatorie, i cui tempi già notoriamente lunghi sono ulteriormente appesantiti dalla mancanza di figure tecniche all’interno dei comuni (architetti, ingegneri, geometri) e dalla lunghezza eccessiva dell’iter delle autorizzazioni, come sottolineato dal presidente dell’associazione dei comuni italiani (ANCI) Antonio Decaro. Lo stesso Decaro denuncia anche un problema legato al processo burocratico di trasmissione della documentazione dei progetti del PNRR dai comuni attraverso il sistema informatico Regis. In una lettera ai ministri il presidente dell’ANCI ha segnalato un grave malfunzionamento elencando le problematiche del sistema. 

Quale rapporto tra asili e tasso di natalità in Italia? 

L’intervento su cui stiamo subendo grossi ritardi è anche uno dei più cruciali per il nostro paese, se si considera il ruolo che hanno i servizi per l’infanzia in relazione agli andamenti demografici. Dopo il periodo di baby boom degli anni 60, l’Italia ha infatti subito un declino costante del tasso di natalità, con una fase di leggera ripresa all’inizio degli anni 2000, ma che poi è tornato nuovamente a calare fino a raggiungere, nel 2022, il minimo storico delle nascite di 393mila unità

Tale tendenza viene anche chiamata “inverno demografico”, ovvero l’aumento dell’età media dovuto a un tasso di natalità inferiore rispetto alla soglia che sarebbe necessaria per sostituire la popolazione (2,1 figli per donna). Come evidenzia l’Istat, l’Italia presenta un tasso di natalità di 1,24 figli per donna. 

Le cause di questo fenomeno sono diverse e intrecciate tra loro: un cambiamento culturale che ha portato a una generale dilazione del primo figlio, l’aumento della disoccupazione dovuta alla crisi economica che subisce ancora gli effetti della Grande Recessione, la crisi sanitaria causata dal Covid-19 che ha provocato nei giovani un sentimento di incertezza nei confronti del futuro, e anche il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive. Solo per citarne alcune. 

Considerato questo significativo declino della natalità in Italia, come si giustifica l’urgenza di avere un maggior numero di posti negli asili nido e scuole dell’infanzia? Perché il rapporto tra i due fattori va osservato nella direzione opposta: studi ci dicono che è proprio la disponibilità di un servizio pubblico e accessibile per l’infanzia che potrebbe aumentare il tasso di natalità

Ad esempio, due ricercatori del DIW di Berlino – l’Istituto tedesco per la ricerca economica – hanno dimostrato che gli incentivi economici per la cura dei figli, sia sotto forma di detrazioni fiscali che attraverso istituti di cura, hanno un effetto positivo sulla natalità per alcune categorie di donne. 

Un altro studio condotto in Norvegia conferma l’ipotesi per cui una maggiore disponibilità dell’assistenza all’infanzia riduce l’effetto negativo sulla natalità provocato dai migliori risultati scolastici e lavorativi delle donne. In altre parole, un servizio di asilo che permette alle madri che lo desiderano di lavorare può aumentare in molti casi la probabilità di avere figli.  

La ricerca fa riferimento a un contesto scandinavo, dove il tasso di natalità è vicino alla soglia di sostituzione, ma un altro contributo dell’Università di Monaco mostra come la relazione causale è dimostrata anche in paesi dove il tasso di natalità si avvicina a quello dell’Italia. Un aumento dei posti disponibili per i bambini sotto i 3 anni da 5% a 35% può aumentare il tasso di natalità di circa 0,13 bambini per donna.

Nel contesto del nostro paese, uno studio realizzato dalla professoressa e ricercatrice Del Boca, sebbene pubblicato nel 2002, ha dimostrato come la disponibilità di servizi per l’infanzia aumenta sia la probabilità di avere figli che di lavorare per i genitori, specialmente le madri, che si fanno maggiormente carico del lavoro domestico di cura. Il tasso di natalità in Italia potrebbe dunque aumentare grazie all’espansione di asili nido e scuole dell’infanzia. 

Aumentare la natalità anche attraverso l’occupazione femminile

Un ruolo significativo in questo dibattito lo assume proprio l’occupazione femminile. Secondo i dati OCSE, in Italia lavora il 52% delle madri con un figlio nella fascia 0-2 anni, e si abbassa addirittura al 34% per donne con un livello di istruzione non superiore alla scuola media. Infatti, nel nostro paese i tassi di uscita dal mondo del lavoro delle neo mamme sono più alti che in altri Paesi. Secondo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, i dati ci dicono chiaramente che in presenza di figli la partecipazione maschile aumenta e quella femminile si riduce. Nel 2020 le donne sono state il 77% del totale dei neogenitori che si sono dimessi. La motivazione più frequente è la difficoltà di conciliazione dell’occupazione lavorativa con le esigenze di cura dei figli per ragioni anche legate alla disponibilità di servizi di cura (38% del totale delle causali). 

Il fatto che siano le madri e non i padri a rinunciare al lavoro per i figli è causato anche dal fenomeno della “motherhood penalty”, ovvero il sistematico declino salariale tra le donne dopo la nascita dei figli che non si verifica per gli uomini. Il fenomeno è legato a diversi fattori, tra cui una perpetuazione di norme sociali stereotipate per cui l’uomo viene identificato come breadwinner, letteralmente colui che porta a casa “la pagnotta” e il cui lavoro ha maggiore diritto di essere tutelato. Anche per questa ragione sono le donne a farsi maggiore carico della cura dei figli: esse spendono più del doppio delle ore giornaliere rispetto ai loro partner nelle faccende domestiche. 

Per le ragioni presentate, gli studi sul tema indagano principalmente gli effetti dell’assistenza all’infanzia sull’occupazione delle donne. Il quadro che emerge da questa letteratura – anche basata su dati italiani – in generale è quello di effetti significativamente positivi dell’introduzione o dell’espansione di servizi di assistenza all’infanzia sull’occupazione femminile. Infatti, dati relativi a diversi paesi mostrano che laddove il sostegno pubblico per la cura dei figli è più basso, i tassi di occupazione delle donne sono anche più bassi. La limitata disponibilità di asili a prezzi accessibili aumenta per le madri il costo opportunità di avere un’occupazione, ovvero rende meno conveniente scegliere di lavorare piuttosto che di rimanere a casa

Ciò rende complicata la partecipazione al mercato del lavoro senza il sostegno di altri parenti. In Italia si fa infatti tipicamente affidamento alla famiglia di origine per la gestione dei bambini a causa anche di un limitato supporto statale (come mostra il grafico): il cosiddetto “modello mediterraneo” che condividiamo con altri paesi europei. In mancanza di misure di sostegno alla famiglia (asili nido e doposcuola) le donne faticano a conciliare vita privata e professionale, tanto che il 38% per cento di loro si appoggia a familiari e amici.

La situazione presentata si manifesta in maniera ancora più evidente nelle regioni del Mezzogiorno, che presentano un forte divario nella fornitura di servizi pubblici con il resto d’Italia: mentre il Nord e il Centro consolidano la copertura di posti asilo sopra il target europeo con valori superiori al 33%, il Sud (14,5 %) e le Isole (15,7%) risultano ancora distanti dal target. Per questo motivo al sud è stata riservata la metà dei fondi del PNRR su  questo intervento: nell’Avviso pubblicato a dicembre si legge che il 55,29% delle risorse per le infrastrutture per la fascia di età 0-2 anni e il 40% delle risorse per le  infrastrutture 3-5 anni sono destinate a candidature proposte da parte di enti locali appartenenti alle Regioni del Mezzogiorno.

Asili finanziati dal PNRR: un’opportunità da non perdere 

Le scelte demografiche di una popolazione possono dipendere anche da fattori privati o indipendenti da politiche che influenzano l’intera società. Una riflessione analoga si applica per le scelte professionali delle coppie, che possono decidere come distribuire le proprie priorità.  Tuttavia, ci dovrebbero essere le strutture minime per rendere queste scelte libere e consapevoli, come e soprattutto la disponibilità di un servizio pubblico e gratuito per la cura dei figli

Diversi studi hanno dimostrato che le politiche che favoriscono la genitorialità e l’occupazione, con particolare riferimento alla copertura dei servizi di cura, sembrano essere un metodo efficace per aumentare i tassi di natalità laddove questi sono considerati troppo bassi, come in Italia. Come mostrato, questo rapporto causale è in molti casi veicolato da un effetto positivo anche sull’occupazione delle madri. Ciò ha un’importanza cruciale anche nella lotta a favore della parità di genere e per meglio bilanciare il peso lavorativo ed emotivo della gestione della famiglia. 

I fondi del PNRR per la costruzione e riqualificazione degli asili nido e scuole dell’infanzia rappresentano una fondamentale opportunità di perseguire questi obiettivi, per cui si auspica che i ritardi iniziali non inficino la realizzazione degli interventi. 

*Tasso di natalità in Italia [Crediti foto: Alicja da Pixabay]

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