Analisi

Tocca all’Europa

Il ritorno di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti d’America ha costituito uno shock, seppur abbastanza atteso, per gli alleati storici degli USA e, in generale, per la tenuta della compattezza strategia dell’Alleanza Atlantica. 

Dall’inizio del nuovo mandato presidenziale statunitense, l’Europa si è trovata di fronte a un cambio di paradigma strategico: la progressiva ritirata de facto dell’impegno americano verso Kiev ha obbligato l’Unione Europea e i suoi principali Stati membri a diventare protagonisti, se non garanti, della sicurezza dell’Ucraina. È una svolta che avviene per necessità, ma che segna una tappa cruciale nella lunga e tormentata strada verso l’autonomia strategica europea.

Dallo shock allazione: lUE raccoglie la sfida

Le dichiarazioni (ma anche le azioni) ambigue e talvolta ostili del presidente Trump sulla guerra in Ucraina – comprese le telefonate con Putin, le critiche a Zelensky e l’aperta freddezza verso ulteriori stanziamenti di fondi – hanno spinto Bruxelles a prendere coscienza della propria vulnerabilità. Se durante la Presidenza Biden gli USA erano coloro i quali guidavano a tutti gli effetti il fronte internazionale opposto alla Russia e alle violenze da questa perpetrate in Ucraina, il secondo avvento del Tycoon ha significato un drastico cambio di rotta da parte di Washington, in nome di un’alquanto discutibile “equidistanza” tra i due belligeranti. Da queste premesse si arriva ad uno scenario ineluttabile e lapalissiano: se gli Stati Uniti rinunciano a essere il “garante di ultima istanza” dell’Ucraina nei confronti delle mire di Putin, l’Europa non può permettersi di rimanere spettatrice, pena la possibile caduta di Kyiv, che si tradurrebbe in un doppio temibile scenario: l’avvicinamento della Russia ai confini europei e la definitiva irrilevanza politica dell’Unione Europea. 

Questo cambio di mentalità ha avuto una manifestazione concreta nel rafforzamento del sostegno europeo a Kiev, sia in termini finanziari sia militari. Secondo i dati più recenti, l’UE ha già superato Washington in termini di contributi finanziari annuali all’Ucraina, con oltre 23 miliardi di euro stanziati solo nel 2025. A ciò si aggiungono piani per sfruttare gli asset russi congelati – circa 210 miliardi di euro – per finanziare ulteriori forniture militari e la ricostruzione.

Oltre latlantismo: differenze nazionali e convergenze strategiche

Le capitali europee si stanno adattando con approcci diversi. La Francia di Emmanuel Macron considera la Russia una minaccia esistenziale e rivendica il successo del concetto di autonomia strategica europea. Parigi ha proposto – anche con Londra – l’invio di esperti militari in zone non belliche dell’Ucraina, ribadendo che ogni futuro accordo dovrà coinvolgere Kiev e l’Europa. La Francia, forte della sua capacità nucleare, vede questo momentum come una possibilità più unica che rara di imporsi come potenza militare egemone all’interno della UE. 

La Germania, nonostante sia il primo finanziatore europeo, resta intrappolata tra la retorica della “Zeitenwende” e una Bundeswehr inadeguata che “soffre”, così come la maggior parte degli eserciti europei, il fatto che negli ultimi 40 anni l’essersi strutturata più per azioni di supporto e peacekeeping che non per deterrenza vera e propria. La campagna elettorale aveva congelato il dibattito sull’invio di truppe, ma l’opinione pubblica sembra più favorevole di quanto non lo siano i leader.

 L’Italia, guidata da Giorgia Meloni, mantiene una posizione pragmatica: pur criticando l’ipotesi di un dispiegamento militare, partecipa attivamente alle missioni NATO, guida il pattugliamento aereo nei Baltici e fornisce sistemi SAMP/T a Kiev. 

Il Regno Unito, pur fuori dall’UE, riveste un ruolo chiave: ha promesso supporto a eventuali missioni di peacekeeping e cerca di ricucire con Washington, allarmato dalle derive unilaterali della nuova amministrazione. 

Polonia e Paesi baltici, tra i più determinati, chiedono più spesa militare, adesione accelerata di Kiev all’UE e flessibilità fiscale per sostenere il riarmo. Tuttavia, l’unità resta fragile: l’Ungheria e la Slovacchia minacciano veti su nuove sanzioni, frenando la risposta collettiva. Anche la Polonia, vista l’elezione del candidato di destra Nawrocki, ritratterà molto probabilmente l’apertura all’ingresso in UE e NATO di Kiev. 

Insomma, L’UE ha bisogno di decisioni rapide ma, come sempre, deve ancora fare i conti con la propria architettura unanimistica.

Limiti strutturali e sfide future

Tuttavia, l’Europa non può ancora sostituirsi integralmente agli Stati Uniti. La dipendenza dall’intelligence americana resta critica: dai sistemi di allerta missilistica alla localizzazione dei comandi russi, le capacità NATO restano fortemente sbilanciate in favore di Washington. Anche sul fronte tecnologico, l’Europa fatica a produrre in quantità sistemi d’arma sofisticati come i Patriot o gli HIMARS.

Il rischio, dunque, è duplice: da un lato, l’insufficienza delle capacità autonome europee potrebbe esporre l’Ucraina a rallentamenti tattici; dall’altro, una dipendenza prolungata da Washington mina la credibilità dell’UE come attore geopolitico autonomo. In risposta, sono stati lanciati progetti per il rafforzamento dell’industria bellica ucraina e l’aumento della produzione europea di munizioni, in parte già attivi grazie al coordinamento del gruppo di contatto guidato ora da Berlino e Londra.

La guerra che cambia lEuropa

La guerra in Ucraina si sta rivelando un catalizzatore di trasformazione per l’Unione Europea. Non solo per l’aumento della spesa militare, ma anche per il mutamento profondo nella percezione del proprio ruolo internazionale. L’UE si scopre costretta a prendere decisioni rapide su sicurezza, deterrenza, allargamento e politica industriale, con uno sguardo quanto mai necessario alla realizzazione di una reale autonomia strategica europea.

Il nuovo piano per il Mar Nero – che mira a rafforzare la connettività, la sicurezza e la resilienza ambientale – si inserisce in una visione strategica più ampia: contenere l’influenza russa e proiettare l’Europa come attore geopolitico capace di garantire stabilità e sviluppo ai suoi confini orientali.

In questo scenario, l’“assenza strategica” americana paradossalmente diventa un’opportunità: l’Europa è costretta a maturare, a esercitare leadership, a pensarsi finalmente come potenza. Ma per riuscirci, servirà superare veti interni, investire nel lungo periodo e parlare con una sola voce. Perché solo così si potrà evitare che il futuro dell’Ucraina – e dell’Europa – venga deciso altrove; Che si tratti di Mosca, o di Washington.

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