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Generazione Z: “Abbiamo molti strumenti, ma alla fine siamo soli”

Tempo di lettura stimato: 5 min.

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Qualcuno diceva che si parla troppo di giovani e troppo poco con loro (sì, la citazione è di Fedez). Noi abbiamo provato a rimediare intervistando Giacomo Mazzariol, veneto classe 1997. A diciott’anni ha scritto il suo primo libro, Mio fratello rincorre i dinosauri, best seller da 200mila copie vendute da cui è stato tratto il film omonimo. Poi è arrivato il secondo libro, Gli squali. Nel mezzo il trasferimento da Castelfranco Veneto a Roma, la sceneggiatura di Baby per Netflix ed un ruolo da protagonista nel descrivere la generazione Z. Classico esempio di giovane fannullone.

Una domanda fondamentale: come ha reagito tuo papà quando gli hai detto che Alessandro Gassmann avrebbe interpretato il suo ruolo nel film?

All’inizio si sentiva in competizione con lui perché tutti lo prendevano in giro. Però dai, poi è stato molto simpatico. Nel libro i personaggi che ho descritto sono molto alla Mulino Bianco, semplici e genuini. Sembrano quasi piatti, non tridimensionali. Gassman ha dato qualcosa in più, delle sfumature recitative che mio papà non ha.

Tu hai chiamato il tuo secondo libro Squali. Un’ immagine forte per definire la nostra generazione, la generazione Z. Altri ci hanno definiti in altro modo, mi viene in mente Michele Serra con il suo libro “Gli sdraiati”. Secondo te perché siamo squali e non sdraiati?

Io ho pensato agli squali per ribaltare lo stereotipo degli squali come animali che vogliono schiacciare gli altri. Ho voluto applicare l’immagine dello squalo per descrivere la potenza, inteso come la capacità di usare molti strumenti che abbiamo noi giovani, e la solitudine dei ragazzi e degli squali che non hanno branco. La solitudine è questa sfera personale che ognuno si disegna attorno e che crea delle realtà comuni, come se ognuno vivesse nella propria navicella spaziale.

Secondo te siamo anche un po’ sdraiati?

In un certo senso sì: non si può dire che siamo rivoluzionari. A ventun’ anni Bob Dylan ha cambiato il mondo scrivendo Blowin’in the wind. La gioventù invece è rivoluzionaria in sé, ha il grande potere di scardinare. Nell’incoscienza, nel non aver letto tutto o non avere una direzione precisa, la gioventù può scardinare con più forza di chi ha paura di mettere i piedi nei posti sbagliati. I giovani fanno propri dei concetti molto antichi, in maniera anche ferma. Rivoluzione, stravolgimento, comunità.

E la generazione Z cosa fa?

La nostra generazione ha un modo tutto suo di creare degli eroi, perché ci sono molti modi per distinguersi. Ogni ambito del sapere ha delle idee innovative, delle punte di diamante grazie alla possibilità di stare al centro del mondo. Ogni persona è potenzialmente al centro del mondo grazie agli strumenti che ha e questi strumenti ci fanno sentire molto forti.

Hai scritto sulle colonne di Repubblica, dove lavora anche Michele Serra. Hai mai litigato con lui in redazione?

Ho fatto un dialogo con lui su Repubblica, l’immigrato ed il nativo. Molto simpatico.

Tu hai provato un po’ a spiegare la nostra generazione al mondo dei grandi. Che cosa è stato più difficile trasmettere?

Loro ci consideravano pigri, stanchi. Poi in realtà la battaglia sul clima ci ha dato molta credibilità come generazione. Le battaglie più grandi a livello umanitario sono già state fatte negli anni sessanta. Siamo anche figli delle battaglie degli altri e per questo c’è una criticità nell’essere squali.

Quale?

Possiamo essere sardine molto facilmente. Non dandoci degli strumenti culturali per avere delle radici, a volte pensiamo che gli strumenti non siano mezzi ma essenza.

Quindi amore e odio da parte degli adulti.

Da sempre le generazioni passate criticano quelle future. Una volta i ragazzini erano stupidi se stavano davanti alla televisione, ora è la stessa cosa con i telefoni. Quello che è stato difficile passare è l’esigenza del rapporto tra adulto e giovane. Ora abbiamo un rapporto più vicino rispetto al passato. Un giovane che legge poco ha bisogno dell’adulto. L’adulto deve accompagnare il giovane.

In cosa la nostra generazione è meglio di quella dei nostri genitori e in cosa è peggio, se si può fare una comparazione?

Il viaggio. Il viaggio fa di noi delle persone più aperte. Il problema è che siamo figli di un viaggio molto turistico e poco esplorativo: ora un volo a venti euro per Barcellona fa sì che vai due giorni e ti porti a casa poco.

E poi?

Anche la capacità di informarci è migliorata, fino ad un certo punto però. Ora ho un punto di vista più nostalgico, amo le enciclopedie che spiegavano come accedere al mondo e come essere al mondo, rispetto a Wikipedia che fornisce un sapere più frammentato. In questo senso siamo più liberi di accedere al sapere. Siamo come dei pascià, circondati da servizi. Questo ci rende dei superuomini, ma anche sbruffoni.

In che senso?

Stiamo crescendo con l’idea che la nostra opinione sia utile, quando invece non è così. L’opinione va agli esperti. Ci sono molte minacce in tutto ciò che abbiamo: tanti strumenti ma anche una conoscenza fallace.

Hai scritto il tuo primo libro a diciotto anni, c’è qualcosa che ti ha ispirato in particolare?

Partivo da una dinamica di viralità. Il mondo è in cerca di storie, non di gente che le sa raccontare. Da dieci anni i libri che escono sono tantissime storie vere. I modelli potevano essere chi diceva la verità, chi si esponeva. Mia sorella, ad esempio, che pubblicava una foto di Gio (il fratello con la sindrome di Down, ndr), e io che gli dicevo “sei matta”.

La forza delle storie insomma

La forza di dire: riconosco che è una storia e la racconto. Di stare anche un anno a scriverla. L’idea di star lì a perdere tempo per una storia.

Ti faccio una domanda che odio ricevere, ma te la devo fare: cosa vuoi fare da grande?

Oggi ho buttato giù l’inizio per una pièce teatrale, però sono nella confusione più totale. Sto scrivendo film, sto facendo l’università, serie tv. Insomma mi piace scrivere.

E domani uguale?

Domani uguale. Mi piace scrivere per vivere e vivere per scrivere. Quindi scriverò e spero di fare un capolavoro letterario principalmente.

Buona fortuna allora.

Grazie.

Federico Pozzi
Veneto classe 1997: tra i vecchietti di OriPo. Laureato in Economia a Padova, ora studio Politics and Policy Analysis in Bocconi. Quando scrivo cerco di essere come le notti d’estate: chiaro come il cielo e pungente come la zanzara che continua a ronzare in camera. Romanticamente inopportuno insomma.

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