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Una spy-story da 10 miliardi

Tempo di lettura stimato: 6 min.

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Lo spionaggio

La spy-story da 10 miliardi coinvolge Jeff Bezos, fondatore e amministratore delegato di Amazon, riceve su WhatsApp un video contenente un messaggio criptato il 1° maggio 2018. Il numero di telefono del mittente sarebbe quello di Mohammed bin Salman, principe ereditario dell’Arabia Saudita. Gli investigatori assoldati da Bezos ritengono che il messaggio contenesse un malware col quale è stato hackerato il suo cellulare. Questo si evince dall’analisi forense digitale eseguita sul cellulare dalla società FTI Consulting. Il Financial Times ha interamente riportato la suddetta analisi.

Fonti anonime hanno dichiarato che lo scambio di messaggi fosse amichevole prima dell’invio del video incriminato. Il video avrebbe infatti approfittato di una vulnerabilità di WhatsApp per infettare il cellulare dell’imprenditore statunitense con uno spyware.

Il malware in questione sarebbe Pegasus, un programma di hackeraggio che sottrae dati presenti e futuri da un cellulare se la vittima designata clicca su un link. Il furto di informazioni avviene nel giro di pochi secondi.

Lo spyware ha sottratto gran numero di file dal cellulare, ma non è ancora noto quali.

Si ipotizza che l’intento fosse quello di incrementare gl’investitori occidentali in Arabia Saudita. O ancora di mettere a tacere il quotidiano Washington Post, di cui Bezos è proprietario. Al-Saud, infatti, avrebbe mandato, tra Novembre 2018 e Febbraio 2019, dei messaggi su WhatsApp in cui rivelava dettagli della vita privata di Bezos non noti al pubblico.

Cos’è Pegasus?

Pegasus è uno spyware ideato da NSO Group, una compagnia israeliana che sviluppa e vende tecnologie di monitoraggio, pensato proprio per telefoni cellulari. Dal 2016 è stato documentato il suo utilizzo contro giornalisti e attivisti per i diritti umani.

Come si evince da report di Citizen Lab e Amnesty International, nel 2018 un operatore Pegasus legato all’Arabia Saudita, noto come KINGDOM, era stato utilizzato contro dissidenti e critici del regno.

Il 1° Ottobre 2018 Citizen Lab ha denunciato che Omar Abdulaziz, dissidente saudita avente cittadinanza canadese permanente era stato preso di mira con lo spyware Pegasus. Nel periodo in cui il suo cellulare era monitorato è emerso che Abdulaziz era spesso in contatto con Jamal Khashogghi, editorialista del Washington Post.

Gavin De Becker, consulente per la sicurezza di Bezos, ha dichiarato che il principe aveva in mente di nuocere al multimiliardario da quando il Washington Post ha iniziato a parlare dell’assassinio di Jamal Khashogghi. Si trattava di un giornalista del Post, nonché dissidente saudita.

Agli albori del rapporto tra Bezos e il principe saudita c’era una collaborazione proficua. Dopo il viaggio del Presidente americano Donald Trump in Arabia Saudita, infatti, i due si stavano impegnando a stringere un accordo da un bilione di dollari per realizzare tre data centers per i servizi internet di Amazon. Mohammed era d’accordo, essendo il progetto in linea con la sua idea di partecipare all’economia globale. Quello del principe saudita è un progetto futuristico: realizzare una smart city 30 volte più grande di New York. Per farlo intende coinvolgere investitori occidentali e le principali società digitali. È inoltre a Riyadh, capitale saudita e primo polo finanziario dello Stato, che si svolgerà il G20.

Il dissidio non riguarda tuttavia Amazon. I contrasti sono sorti con l’assunzione Kashogghi da parte del dipartimento editoriale del Washington Post.

L’omicidio di Khashogghi

Khashogghi critica alcune decisioni del principe e decide quindi di fuggire in esilio negli Stati Uniti nel 2017. Nell’Ottobre 2018 entra nel consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul e se ne perdono le tracce. Il 23 Dicembre 2019 cinque persone sono state condannate a morte per l’omicidio con una sentenza della Corte di Riyadh. Si è trattato di un processo segreto i cui dettagli non sono stati rivelati. Le autorità hanno definito l’omicidio come il risultato di un’operazione non autorizzata. L’Arabia Saudita ha sempre sostenuto che il principe ereditario non avrebbe tratto alcun vantaggio dall’omicidio di Kashogghi. Ciononostante, la CIA, con un’inchiesta interna, ha individuato in Mohammed bin Salman il mandante del delitto.

Subito dopo sono iniziati i tweet contro Bezos, Amazon e il Post da parte di account sauditi. Per farlo sarebbero stati ingaggiati influencer in possesso di un gran numero di account Twitter.

Lo scandalo

Un altro giornale è coinvolto: il National Enquirer, noto difensore di Donald Trump. Il Presidente americano aveva scelto l’Arabia Saudita come primo luogo da visitare (fuori degli USA) a seguito della sua elezione. Subito dopo la visita di Trump, sul giornale si legge un elogio al regno del principe saudita.

È il National Enquirer a pubblicare in prima pagina la notizia di una relazione extraconiugale di Bezos con la conduttrice televisiva Lauren Sanchez. La fonte è asseritamente il fratello dell’amante. Si sussegue una serie di scoop che rendono pubblici messaggi e selfie privati di Bezos.

Riprendono così gli attacchi su Twitter nei suoi confronti di. I tweet alludono allo scandalo e ritengono le ombre gettate sulla reputazione di Bezos una “punizione divina” per il suo essere nemico del regno.

Intanto, venuta a conoscenza dello scandalo, la moglie del patron di Amazon chiede il divorzio. Ottiene così il 4% del pacchetto di azioni di Amazon del valore di 36 milioni di dollari. A questo punto Bezos decide di avviare un’inchiesta sulla questione.

Le dichiarazioni del CEO

Bezos non ha negato la sua relazione. Ha scritto un post sulla piattaforma online Medium nel quale scrive che investigatori federali e mass media sospettano che David Pecker, direttore del National Enquirer, se ne sia servito per ragioni politiche. Il Dipartimento di Giustizia statunitense ha infatti concesso a Pecker un accordo d’immunità. Trump l’aveva inoltre invitato a una cena presso la Casa Bianca subito dopo la sua elezione per ringraziarlo. Alla cena avevano partecipato ospiti con importanti legami con l’Arabia Saudita, in particolare finanziatori della casa reale Al-Saud.

Nel post Bezos dichiara di aver avviato un’indagine per determinare come il National Enquirer fosse venuto a conoscenza dei suoi messaggi privati e quali siano state le ragioni dietro alla pubblicazione. È a conoscenza delle altre indagini indipendenti sulla questione.

“È inevitabile che alcune persone potenti che vengono menzionate sulle copertine del Washington Post mi vedano, erroneamente, come un nemico. Trump -è chiaro dai suoi tweet- è una di queste.”

A riguardo, Trump è intervenuto durante la procedura di appalto per un contratto da 10 miliardi di dollari che il Governo statunitense ha assegnato a Microsoft piuttosto che ad Amazon. Il Presidente americano ha infatti espresso le sue forti critiche su Amazon e Jeff Bezos in quanto amministratore delegato, riguardanti il regime fiscale applicato ad Amazon. È in corso un processo sulla questione: Amazon sostiene che Trump abbia esercitato pressioni inadeguate che hanno fatto sì che Amazon perdesse la gara.

L’indagine dell’ONU

Le Nazioni Unite hanno ordinato agli Stati Uniti di avviare un’inchiesta sulla questione. Un ricercatore palestinese che vi ha partecipato ha scritto su Twitter che lo spyware arrivava direttamente dal cellulare del principe. Il messaggio è stato inviato pochi giorni dopo che, durante una cena a Los Angeles, i due si erano scambiati il numero di telefono. Il tweet prosegue: i sauditi avrebbero avuto accesso al cellulare di Bezos da Maggio 2018 a Febbraio 2019.

Sono gli esperti di diritti umani a chiedere un’inchiesta immediata. La ragione è il rafforzarsi dell’ipotesi che ci sia uno schema di sorveglianza degli oppositori dell’Arabia Saudita da parte delle autorità saudite. In particolare, Agnes Callamard, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali e sommarie e David Kaye, relatore speciale dell’ONU sulla libertà di espressione, hanno espresso preoccupazioni circa un possibile coinvolgimento del principe saudita per mettere a tacere il Washington Post sulle questioni riguardanti il suo regno.

Su Twitter l’ambasciata saudita respinge tutte le accuse e le indica come assurde. Anche l’Arabia Saudita chiede un’indagine sulle affermazioni rilasciate in merito al coinvolgimento delle autorità saudite per chiarire la questione.

Eleonora Ferrari
Nata in Calabria, studio giurisprudenza all’Università Bocconi. Bandita dalle cene di famiglia dall’anno 1997. Adesso che avete cantato Jingle bells non è il momento di parlare delle elezioni presidenziali in Guatemala? Con OriPo ho trovato il posto e la compagnia giusta con cui condividere la mia passione. I tempi in cui tediavo i parenti sono finiti…più o meno.

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