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Mansur, il Kurdistan ed il futuro di un popolo

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Durante i periodi all’estero, si ha spesso la possibilità di conoscere le esperienze di persone dagli angoli più diversi del pianeta. Durante le prime settimane del mio periodo Erasmus, ho avuto la possibilità di fare una chiacchierata con Mansur, un ragazzo curdo, ufficialmente turco, che lotta ogni giorno contro la pressione culturale e istituzionale del governo contro il popolo curdo. Studente all’Università di Instanbul, Mansur ha accettato di condividere con me la sua conoscenza ed esperienza su una delle regioni più complesse del mondo.

Cominciamo dall’inizio. Chi sono i Curdi? Dove sono localizzati? Sentono di appartenere allo stesso popolo?

I curdi sono un gruppo etnico nativo dell’Asia Minore, generalmente inserito nella famiglia iraniana delle etnie indo-europee. Nonostante vi siano minoranze curde in territori ex-URSS, Israele, Libano e Armenia, la patria del popolo Curdo è il Kurdistan, ora diviso tra Turchia, Iran, Iraq e Siria. L’unica zona che si può oggi chiamare Kurdistan, però, è una regione autonoma nel nord dell’Iraq. Questo rende i Curdi la più numerosa minoranza nel mondo (Circa quaranta Milioni) senza uno Stato indipendente.

I Curdi sono un gruppo eterogeneo. Lo storico curdo Bidlisi, nel 17esimo secolo, li divide in quattro gruppi: Kurmaj, Kalhur, Guran e Lur. Oggi, si considerano curdi solo i popoli Kurmanj e Soran, insieme a qualche gruppo di Zaza, una minoranza iraniana in Turchia.
Le prime menzioni di un popolo curdo risalgono al settimo secolo durante il dominio arabo dell’area, mentre la parola “kurdistan” compare per la prima volta nel dodicesimo secolo. Nel 1513, l’Impero Ottomano conquista la zona grazie all’aiuto dei curdi e riconosce la parziale autonomia dell’area fino al 1847, quando le varie province sono riunite nella regione semi-autonoma del Kurdistan.  Con l’arrivo della Repubblica Turca negli anni ’20 del 900, tutto ciò che è curdo viene bandito, inclusa la lingua.
La costituzione turca li considera Turchi, il governo siriano non ha mai fornito a loro passaporti, quello iracheno li ha lungamente perseguitati durante il regime di Saddam Hussein, mentre in Iran gl indipendentisti sono ancora impiccati tutt’oggi.

Quali sono le differenze principali tra i diversi gruppi di curdi?

Poiché essi sono tutti curdi, posso affermare che non ci siano enormi differenze tra i gruppi. Per fare un esempio, il popolo degli Zaza non è considerato curdo per le differenze linguistiche, ma molti preferiscono considerarli tali viste la storia comune. Inoltre, gli Zaza compongono una buona parte del movimento pro-Curdo in Turchia, per cui loro si sentono curdi a tutti gli effetti.

Altre visibili differenze riguardano la scrittura: mentre i Soran e i Guran scrivono il dialetto curdo in arabo, gli Zaza e i Kurmanj usano l’alfabeto latino, mentre quelli nei territori ex URSS utilizzano il cirillico.
Per quanto riguarda la religione, la maggior parte dei curdi sono Musulmani Sunniti. Vi sono però numerose minoranze religiose nel popolo curdo: sciiti, alawiti, cristiani e più di 200.000 curdi ebrei in Israele. Inoltre, circa un milione di curdi continua a seguire le religioni antiche, come l’Yarsanismo, lo Yedizismo e lo Zoroastrismo.

L'area di diffusione dei vari popoli curdi FONTE: KURDISH PROJECT WEBSITE

Quali sono le condizioni delle minoranze interne?

Nonostante queste abbondino (i curdi iraniani hanno minoranze azere, quelli turchi etnie greche e armene), gli esempi migliori arrivano dal Kurdistan iracheno e dalla zona del Rojava.  Nella prima, la maggioranza curda ha spesso accolto minoranze e si è schierata a protezione delle loro lingue e culture, prevedendo anche una quota per le minoranze nel parlamento locale.
L’esperienza del Rojava invece, che era inizialmente uno sforzo indipendentista secolare per proteggere la popolazione curda in Siria del nord durante la guerra civile, si è evoluta in qualcosa di più grande.
Attualmente  viene chiamata l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord/Est.
Questa federazione è governata da  Curdi, Arabi, Turkmeni, Circassiani, Armeni e Assiri per quanto riguarda la cultura, in linguaggio e l’esercito. Inoltre, nonostante il Curdo e l’Arabo vengano usati più spesso nei documenti ufficiali, il Contratto Sociale del Rojava garantisce la totale libertà di linguaggio per chiunque. Vista, la grande diversità di religioni nella regione, l’amministrazione è completamente secolare e laica.

La guerra è presente nella vita di tutti i giorni, o è qualcosa limitata alle zone di confine?

Quello che tu chiami confine non è altro che una linea che taglia la stessa nazione in quattro parti. Per cui non ci sono limiti al conflitto. Questa è una guerra portata avanti con le armi, la politica, l’assimilazione culturale, la religione e l’imposizione linguistica. Poiché ogni aspetto della cultura curda può essere soggetto ad attacchi da parte di nazionalisti di ogni genere, l’unico modo per non incontrare difficoltà nella vita di tutti i giorni è nascondere le proprie origini e unirsi ai luoghi comuni. In breve, per me la guerra non si combatte solo sul campo di battaglia, ma ha versioni diverse a seconda della geografia e del periodo storico. Per dire, un Curdo potrebbe benissimo diventare Presidente della Turchia, ma solo se accettasse pubblicamente la cultura e la lingua turca come superiore alla sua.

Tornando alla regione del Rojava, che ne pensi del loro esperimento? Pensi che possa essere un modello da applicare nel futuro?

Diversamente da certe rivoluzioni, quella in Rojava ha creato un modello del tutto innovativo piuttosto che inseguire ideali imposti dall’esterno. Mentre alcune zone sono a grande maggioranza curda-sunnita, altre sono più variegate, sia per etnia che per religione.
Era quindi molto importante non cadere nei soliti errori post-rivoluzionari, che gettano le basi per sanguinosi conflitti identitari, per permettere la democratizzazione e la ricostruzione dell’area dopo la tremenda guerra contro il Califfato.

Tutto ciò sembra funzionare per ora in Rojava. I militari e i politici sembrano riuscire a mantenere un’attitudine imparziale nei confronti di tutte le etnie e i credi religiosi. Inoltre, il nuovo ruolo delle donne in Rojava è veramente storico, soprattutto per il Medio Oriente. Personalmente, penso che questo esperimento possa essere un esempio per molte società del futuro. Paritaria, laica, ecologica e multiculturale, la rivoluzione in Rojava è particolare a modo suo. In ogni caso , non metto in dubbio che sia una creazione ancora piuttosto ideale, poco solida.

La zona del Rojava nella Siria Nord-Orientale. FONTE: The Economistfonte: The Economist

Quali sono le richieste dei Curdi oggi?

Le priorità mondiali cambiano continuamente, specialmente nel Medio Oriente, che io vedo come un’altalena dove tanti bimbi litigiosi fanno a gara per salire. Vista l’infinità di comunità e identità locali, è normale che le richieste cambino frequentemente.
Per esempio, usare un nome in caratteri curdi in Turchia 15-20 anni fa era punito con il carcere. Infatti, per lo Stato Turco, io mi chiamo Mensur (invece che Mansur, ndr) Keya, ma il mio cognome in curdo è molto diverso. Oggi, nonostante non sia ancora permesso, in Turchia non si rischiano più questo tipo di condanne. Ciononostante, la divisione del Kurdistan in quattro parti fa si che ci siano differenze tra le richieste delle varie regioni.

Siamo tutti però accomunati da una cosa: nonostante l’apparente successo di un’amministrazione curda e laica in Rojava, proporre questa soluzione in altri paesi come Turchia o Iran corrisponde a una condanna per atti terroristici. In generale, ogni curdo sogna di amministrare autonomamente la sua patria, eccetto per i curdi iracheni che desiderano essere formalmente indipendenti. Più a breve termine, l’obbiettivo di tutto il popolo curdo è quello di rimuovere le barriere culturali che ci opprimono ed esercitare il nostro diritto all’autodeterminazione.

Quale pensi che sia un futuro realistico per la popolazione curda?

Il più grande ostacolo verso il nostro futuro di nazione è l’egemonia ideologica a cui siamo sottoposti.  I curdi sono stati spinti ad allontanarsi dall’idea di uno stato indipendente con decenni di occupazione militare e sottomissione culturale. In particolare, di recente, gli sforzi della comunità stanno venendo incanalati verso l’ennesima sottomissione culturale, specialmente in Turchia. Un’etnia che si scava la fossa da sola, ecco cosa siamo. In Turchia, le nostre domande per un movimento curdo stanno per essere accettate in parte: questo porterà solo all’abbandono dell’ideale di un Kurdistan del tutto indipendente. Una nazione deve avere l’obbiettivo dell’autonomia politica, non accettare il contentino dei tiranni che la opprimono e rispettare le loro imposizioni e i loro confini.
Questi principi vanno difesi, ora e sempre, senza farsi scudo dietro alla nozione del “la situazione è cambiata”. Si può ovviamente pensare di posporre le proprie richieste, ovviamente, ma non si possono abbandonare gli ideali. Per esempio, so per certo che ora non ci siano le condizioni per l’indipendenza, ma si potrebbe chiedere maggiore autonomia di quella che ci sta per essere concessa, e milioni di curdi spingono in questa direzione.

Ludovico Bianchihttps://orizzontipolitici.it
Genovese, ligure, europeo. Laureato in International Politics all’università Bocconi, ora sono uno studente Double Degree con Sciences Po e mi occupo attivamente di Africa Centrale per non farmi mancare niente. Sempre però con con il mare negli occhi, il Milan nel cuore e soprattutto storia e politica nei pensieri.

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