La situazione della libertà di stampa e dei media in Ungheria ha subìto un notevole peggioramento a partire dalla fine del primo decennio del 2000, in concomitanza con la svolta politica illiberale di Orbán e del suo partito Fidesz. Infatti, se è vero che in una cornice temporale ampia, comparando il sistema socio-politico attuale con quello del regime sovietico, le libertà personali e politiche degli ungheresi siano migliorate, è altresì evidente il graduale tentativo del governo in carica dal 2010 di tornare ad un modello sempre più centralizzato e controllato dal potere statale, che spesso coincide con il potere del partito presieduto da Orbán stesso.
Il quadro normativo
I due atti principali che evidenziano questo processo di accentramento risalgono al 2010. Si tratta della “Legge sulla libertà di stampa e norme fondamentali sui contenuti dei media” (sulla libertà di stampa), e dalla “Legge sui servizi di media e sui mezzi di comunicazione di massa” (sui media). Queste due riforme hanno garantito al governo un controllo sempre maggiore sui programmi radiotelevisivi e, in buona parte, anche sulla stampa.
Innanzitutto, anche se formalmente indipendenti, l’Autorità nazionale per i media e le comunicazioni (Nmhh), organo con il compito di controllare i contenuti del settore giornalistico , e il suo organo operativo, il Consiglio dei Media, sono fortemente influenzati dalle decisioni politiche: il presidente dell’Nmhh è nominato dal Presidente della Repubblica su proposta del Primo Ministro, e rimane in carica per 9 anni. La composizione dei 5 membri del Consiglio dei Media, invece, viene stabilita attraverso una votazione di una commissione parlamentare apposita, in cui i voti sono ponderati al numero di seggi. Questo fa sì che, nella fase attuale, il partito di Orbán, Fidesz, abbia il potere di nominare tutti e cinque i membri.
Questo Consiglio ha un ruolo chiave nel sistema dei media ungheresi, in quanto è responsabile delle gare di appalto che garantiscono le licenze per il servizio radiotelevisivo, e gestisce un Fondo creato dalla legge sui media, il Fondo per il supporto dei servizi media e la gestione delle attività (Mtva). Questo Fondo detiene tutti gli asset delle compagnie pubbliche di informazione, e di conseguenza il Consiglio è responsabile dell’accesso ai beni da parte dei media. Come descritto nella legge, il Fondo non si limita a gestire i beni, ma svolge un ruolo attivo, in quanto l’ordinazione, l’acquisto e la produzione dei programmi di servizio pubblico non sono indipendenti, ma effettuati direttamente dal Mtva. È evidente, quindi, il forte ruolo politico che può ricoprire il Consiglio dei Media, in quanto strettamente legato al partito di maggioranza; a testimonianza di questo vi è la decisione del 2021 del Consiglio stesso di chiudere l’ultima radio indipendente d’Ungheria, Klubrádió, non rinnovandone la licenza.
A livello internazionale sono stati sollevati numerosi dubbi, a partire dal 2010 fino ad arrivare ai nostri giorni, riguardo le due leggi. Ad esempio, è stata criticata dal Consiglio d’Europa la decisione, descritta dall’articolo 13 della legge sulla libertà di stampa, di richiedere ai media di fornire notizie “complete, fattuali, aggiornate, obiettive ed equilibrate”, in quanto è ritenuto rischioso e ambiguo legiferare a priori l’equilibrio di una notizia.
A completare il quadro legislativo fissato dalle due leggi si aggiunge anche un sistema di sanzioni sproporzionate contro i giornalisti e i media, soprattutto quando, secondo l’articolo 187 della legge dei media, si stabiliscono pene come il ritiro della licenza, l’interruzione dell’attività per un certo periodo di tempo e multe fino a 2 milioni di fiorini (circa 5.000€).
Alla luce di questi eventi, quindi, non è un caso se gli indici ufficiali che monitorano la libertà di stampa, di opinione e di partecipazione politica (che comprende al suo interno il grado di libertà e trasparenza delle elezioni, il potere effettivo dei rappresentanti politici eletti e il livello di libertà, di associazione e opinione dei cittadini) in Ungheria dimostrino un decremento sostanziale di ognuno di questi a partire circa dal 2010-2011, anni in cui è salito al potere Orbán e sono entrate in vigore le leggi, con un peggioramento costante fino ai giorni nostri.
La situazione attuale dei media
Nel corso degli anni sono stati chiusi numerosi giornali e media indipendenti, e l’informazione ha subìto una sempre maggiore perdita di imparzialità. Il momento più eclatante è avvenuto nel 2016, con la chiusura del giornale di sinistra d’opposizione Népszabadság (Libertà del Popolo, uno dei più importanti e letti d’Ungheria) per motivi imputabili alle forti perdite economiche, secondo l’opinione di quotidiani legati al governo e criticata dalla stampa indipendente, che invece ritiene la decisione basata solo su scelte politiche. Nel 2018 ha avuto una sorte analoga il quotidiano conservatore Magyar Nemzet (Nazione Ungherese), che dopo aver supportato Fidesz a lungo, aveva deciso di opporsi con toni sempre più accesi al partito. Al contrario del primo caso, tuttavia, la chiusura è avvenuta per volontà dello stesso proprietario, a causa dei ripetuti attacchi portati avanti dalla stampa pro-Orbán. Inoltre, a differenza di Népszabadság, Magyar Nemzet è stato riaperto nel 2019, cambiando proprietà e diventando un “giornale vicino al governo”.
I media ancora indipendenti, tra cui l’emittente televisiva RTL Klub, il quotidiano Népszava (Voce del Popolo) e altri (come Direkt36 e 24.hu), oltre al rischio precedentemente descritto di incorrere in sanzioni sproporzionate, sono anche costretti ad interfacciarsi con un mercato distorto dai massicci finanziamenti pubblici elargiti alla stampa pro governativa, che molto spesso causa la chiusura indiretta di molti servizi di informazione d’opposizione.
Esaminando tre distinti segmenti del settore dei media, è possibile notare un fattore comune: indipendentemente dal tipo di servizio (radiotelevisivo, su carta oppure online), la quota dei ricavi pubblicitari statali è nettamente maggiore per coloro che si allineano alle politiche volute da Fidesz (nel grafico, Magyar Nemzet fino al 2014 e Magyar Idők).
Lo stesso avviene per il settore televisivo, dove i due maggiori canali, TV2 e RTL Klub (il primo vicino al partito), vedono una disparità ingiustificata di finanziamenti pubblici proprio a partire dal 2010.
Oltre a quanto descritto, la situazione generale del controllo dei media riflette un accentramento della gestione dei servizi di comunicazione nelle mani di persone legate al governo e a Fidesz. Nel 2018, infatti, è nata la Kesma (Fondazione stampa e media dell’Europa centrale), che nel giro di poco tempo ha ricevuto in donazione numerosi giornali e servizi di informazione da parte di uomini legati a Orbán. Attualmente, la Fondazione riunisce circa 500 media pro-governativi, controllando l’80% dell’intero settore dell’informazione.
A peggiorare la situazione sono gli ultimi scandali, soprattutto a seguito dell’arrivo della pandemia di Covid-19: nel 2020, il Parlamento ha approvato un emendamento al diritto penale ungherese, punendo fino a 5 anni di carcere tutti coloro che diffondono notizie false o distorte nel momento in cui viene emesso un Ordine Speciale Legale, limitando ancora di più l’accesso ad un’informazione indipendente. Il secondo scandalo che ha colpito il sistema dei media ungheresi è stato il cosiddetto Pegasus Project, un’inchiesta portata avanti da numerose testate internazionali, che hanno scoperto come alcuni Stati spiassero giornalisti, oppositori politici, attivisti e uomini d’affari attraverso uno spyware prodotto da un’azienda israeliana, Pegasus. Ad esempio, è emerso che Szabolcs Panyi e András Szabó di Direkt36, i quali avevano investigato per anni sulla corruzione del governo di Orbán, avessero i telefoni sotto intercettazione per volere del governo stesso.
Il punto di vista europeo: cosa avviene nell’area e come risponde l’UE?
Il progressivo peggioramento della condizione dei media indipendenti e della libertà di stampa ed espressione in Ungheria, per quanto grave in termini di politica interna, rischia di non limitarsi al solo territorio nazionale. Come sostengono diversi analisti, la possibilità che l’Ungheria diventi un modello da seguire per gli altri Stati della regione, soprattutto quelli più vicini ideologicamente come Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, è tutt’altro che remota. In aggiunta, la Kesma non si muove unicamente in ambito nazionale, ma negli ultimi anni ha iniziato ad estendere la propria influenza anche all’estero: nel 2019 ha comprato il 57% di una compagnia con sede a Londra, V4NA, la quale ha come obiettivo quello di creare un’agenzia di stampa europea strettamente legata al gruppo di Visegrád. Ha anche comprato alcuni media in Macedonia del Nord, Slovenia e Romania, che presenta in Transilvania una massiccia comunità ungherese, ed ha espresso interesse nella compravendita di un’emittente televisiva in Croazia.
Nel dicembre del 2021, inoltre, una società portoghese, la Alpac Capital, ha annunciato la compravendita dell’88% delle quote di uno dei giornali più letti in Europa, Euronews. Tuttavia, il CEO della Alpac Capital, Pedro Vargas David, avrebbe rapporti molto stretti con il Primo Ministro Orbán e Fidesz, e la stessa azienda sarebbe beneficiaria di capitali pubblici ungheresi. Di conseguenza, secondo gli esperti, questa acquisizione non rientra in una logica commerciale, ma ha come unico fine l’investimento politico volto a modificare la linea editoriale del giornale per renderla più vicina agli interessi del governo ungherese, nonostante la smentita della Alpac Capital e dell’amministratore delegato di Euronews, Michael Peters.
In ogni caso, di fronte a questa situazione in evidente peggioramento anno dopo anno, l’Unione Europea non sembra aver reagito alla svolta illiberale di Orbán: nonostante numerosi richiami, nulla è stato fatto per invertire la rotta su temi centrali come la libertà di stampa e di espressione in Ungheria.
Una regressione generale?
Le criticità sullo Stato di diritto non si limitano solo al sistema dei media, ma raggiungono anche altre sfere, come quella dell’educazione e dei diritti sociali, e il 2021 ha rappresentato una caduta libera in termini di libertà, indipendenza e garanzia dei diritti: oltre allo scandalo del Pegasus Project, a gennaio è stata abolito l’organo istituzionale che combatteva la discriminazione, mentre a febbraio è stata approvata una legge che modifica il sistema universitario. Come accaduto con la creazione del Mtva e del Kesma, 11 università – insieme a milioni di euro di beni pubblici – sono passate sotto il controllo del governo, in quanto la gestione avviene attraverso l’uso di fondazioni (legate a Fidesz). Infine, a giugno una legge ha reso illegale la discussione sull’identità di genere e sessuale sia nelle scuole che nei media, limitando di fatto i diritti della comunità LGBT+.