L’8 e 9 giugno, gli aventi diritto al voto hanno avuto l’occasione di esprimersi su cinque quesiti referendari relativi al mondo del lavoro e alla cittadinanza. Tuttavia, solo il 30,6% degli italiani è andato a votare, non raggiungendo, ancora una volta, il quorum del 50% + 1, ovvero il numero di elettori necessario affinché il referendum, e quindi i suoi risultati, siano validi.
Davanti alla scarsa affluenza alle urne per il Referendum 2025, cosa ci comunicano i risultati? In che modo questo (mancato) risultato è in linea con un trend di affluenza negativo sempre più preoccupante?
I risultati dei cinque quesiti
Come presentato in una nostra analisi in preparazione al voto, i quesiti del referendum abrogativo erano i seguenti: «Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione» «Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale» «Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi» «Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione» «Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana». Nonostante non sia stato raggiunto per la decima volta il quorum in un referendum abrogativo, è comunque possibile trarre alcune considerazioni sulle preferenze di chi ha votato.
Nel dettaglio, è stata registrata una chiara preferenza per il sì, ovvero per l’abrogazione, dei quesiti riguardanti il lavoro (88% delle preferenze), ed è stato riscontrato un consenso significativo, pari al 65%, per le istanze sulla riduzione dei tempi di residenza per la cittadinanza. Percentuali, queste appena presentate, da considerarsi solamente sulla porzione di elettori attivi.
È importante però sottolineare come, questo orientamento “progressista” si sia rivelata una dinamica ricorrente in caso di bassa partecipazione: a votare, infatti, sono soprattutto gli elettori più motivati, spesso favorevoli alle proposte referendarie. Non è possibile quindi estendere tali considerazioni al resto della popolazione, dato l’alto tasso di astensionismo.
Un dato però da prendere in considerazione è il voto dei “fuorisede”, ovvero gli italiani che per motivi di lavoro, studio o cure mediche si trovano in un comune diverso da quello di residenza. Secondo le stime Youtrend, circa il 90% degli italiani che hanno richiesto di votare in un seggio diverso da quello di residenza è andato alle urne. Si è trattata, questa, della prima elezione conformata alla maggior parte degli altri stati europei in cui i fuorisede possono richiedere l’abilitazione al voto, offrendo una modalità di voto a distanza. Nonostante oltre 67mila italiani siano stati ammessi al voto fuorisede (ovvero abbiano presentato la domanda per poter votare nella città in cui studiano, lavorano o si trovano per motivi di cura), la scarsa informazione ha segnato negativamente la registrazione per la partecipazione elettorale.
Le reazioni del mondo politico
L’esito del referendum è stato accolto in maniera molto differente dai leader politici dei principali partiti italiani, con una chiara spaccatura tra la destra al governo e l’opposizione, proponente i quesiti referendari.
In particolare, il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva già espresso negli scorsi giorni la una posizione sfavorevole alla presentazione alle urne. Anche Ignazio La Russa, presidente del Senato della Repubblica, e Antonio Tajani, vicepremier e leader di Forza Italia, avevano espresso il loro dissenso al referendum, invitando i cittadini a non partecipare al voto. Infine, il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini si è pronunciato sul quesito della cittadinanza, sottolineando come questa non sia un regalo, chiedendo regole più severe a riguardo, e rivendicando una linea politica comune a Le Pen, Bolsonaro e Trump.
Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, principale organo promotore dei quesiti sul lavoro, ha riconosciuto l’evidente crisi democratica, ma anche il segnale mandato dai 14 milioni di italiani siano andati a votare, che ritiene essere un buon punto di partenza per le negoziazioni con il governo. Anche Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, e Giuseppe Conte del Movimento 5 Stelle hanno enfatizzato il numero di votanti, che supera di due milioni il numero di elettori che ha portato Giorgia Meloni al governo nel 2022. La sinistra chiede quindi che il governo rifletta sulla votazione: nonostante il quorum non sia stato raggiunto, i cittadini si sono espressi a favore dei quesiti referendari.
In seguito ai risultati, Forza Italia ha evidenziato la necessità di rivedere le legge sui referendum, suggerendo la possibilità di aumentare il numero minimo di firme necessarie. Attualmente, l’articolo 75 della Costituzione italiana prevede che per proporre un referendum sia necessario raccogliere almeno 500mila firme di cittadini elettori oppure ottenere la richiesta di cinque Consigli Regionali. La motivazione addotta è che spesso i referendum non raggiungono il quorum e i soldi dello Stato impiegati per la loro organizzazione vengono considerati “sprecati”.
Cosa impariamo dalla mancata partecipazione?
Gli italiani sono stati chiamati alle urne per la prima volta per votare un referendum nel 1946, quando, il 2 giungo, al referendum sulla forma istituzionale dello Stato vinse la Repubblica sulla monarchia. Da quel momento ad oggi, sono stati proposti altri 77 quesiti referendari, di cui la maggior parte è stata di carattere abrogativo, proprio come quest’ultimo.
Quest’anno, hanno partecipato alle elezioni 14 milioni di italiani, raggiungendo una percentuale di affluenza del 30% in tutti i quesiti. Sebbene la percentuale di affluenza sia rimasta contenuta, il risultato non può dirsi del tutto negativo, o quantomeno non così allarmante, se lo si considera nel più ampio contesto storico. Infatti, negli ultimi vent’anni, i referendum hanno registrato una partecipazione elettorale costantemente modesta, come dimostrano i dati riportati su Eligendo, il portale delle elezioni, e, in generale, le votazioni referendarie risultano meno attraenti per gli elettori.
Se nei referendum degli anni ‘90 si è registrata una forte partecipazione con superamento del quorum per questioni politiche, istituzionali, e sociali di grande rilievo quali la riforma del sistema elettorale (1991), l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (1993), sindacati e rappresentanza e privatizzazione dell’ENEL (1995), a partire dagli anni si assiste a un calo marcato, con numerosi referendum che non hanno superato nemmeno il 30%. Tra i casi più eclatanti vi sono il referendum del 2009 sulla legge elettorale, dove solo il 23,3% degli aventi diritto si recò alle urne, e quello del 2022 sulla giustizia, in cui solo il 20,9% partecipò alla votazione, segnando uno dei livelli più bassi di partecipazione elettorale nella storia della nostra Repubblica. Considerando quindi la scarsa affluenza alle urne per il Referendum 2025, cosa ci comunicano i risultati?
Anche a confronto con le più sentite elezioni politiche o europee, risulta chiaro come il disinteresse generalizzato caratterizzi ormai le consultazioni recenti. In particolare, i referendum, nonostante siano visti dalla Costituzione come espressione diretta della sovranità popolare, faticano sempre di più a mobilitare l’interesse del cittadino. Il risultato di queste votazioni, dunque, può essere interpretato come il riflesso di una tendenza più strutturale nel rapporto tra cittadini e strumenti della democrazia diretta a cui la politica dovrebbe destinare particolare attenzione dal momento che è responsabilità delle istituzioni garantire che le opinioni dei cittadini trovino canali efficaci di espressione e che il voto venga valorizzato, promosso e incentivato.





