Introduzione
Il CBAM e i Paesi in via di sviluppo sono oggi al centro delle politiche climatiche globali. Il Carbon Border Adjustment Mechanism rappresenta una delle misure più ambiziose adottate dall’Unione Europea per integrare politiche climatiche e commercio internazionale. Il meccanismo introduce un prezzo sulle emissioni di CO₂ incorporate nei prodotti importati, in modo da allineare gli standard ambientali tra produttori europei e stranieri. Questo strumento, parte integrante del Green Deal europeo e della strategia “Fit for 55”, mira a rafforzare la transizione verso un’economia a basse emissioni, ma solleva anche interrogativi importanti riguardo alle sue implicazioni economiche, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo. Questo articolo analizza il funzionamento del CBAM, il suo impatto sui Paesi extra-UE e le strategie possibili per affrontare questa nuova sfida globale.
Cos’è il CBAM e come funziona
Il CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism), o Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alle Frontiere, introdotto dall’Unione europea nel 2023, serve ad applicare un prezzo alle emissioni di CO₂ incorporate in alcune merci importate da Paesi extra-UE. Il meccanismo cerca di garantire che le merci importate nell’UE siano soggette a un prezzo del carbonio simile a quello pagato dai produttori europei, soggetti alle regolamentazioni dell’Unione. Si tratta di una misura fiscale ambientale legata al bilancio dell’UE e parte del Green Deal e del pacchetto “Fit for 55”, volto a ridurre del 55% le emissioni di gas serra entro il 2030 e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Il CBAM funziona facendo pagare agli importatori europei un costo per l’inquinamento legato ai prodotti che portano nell’UE. Concretamente, ciò significa che chi importa deve comprare dei certificati che rappresentano la quantità di CO₂ emessa per produrre quei beni, come se fossero stati fatti in Europa. Il prezzo di questi certificati cambia ogni settimana, in base al mercato europeo delle emissioni. Se l’azienda dimostra che nel Paese di origine ha già pagato un costo per le emissioni, può togliere quell’importo dal totale da pagare, così da non pagare due volte e rendere il sistema più giusto.
Il CBAM è strettamente legato al mercato europeo delle emissioni, o più letteralmente il sistema di scambio delle emissioni dell’UE (EU ETS) (Figura 1), il primo sistema internazionale di scambio di quote di emissione al mondo. Questo sistema fissa un tetto massimo alle emissioni consentite, obbligando le aziende ad acquistare “permessi” per poter inquinare. Tuttavia, una parte delle quote viene ancora assegnata gratuitamente per prevenire il fenomeno della delocalizzazione delle emissioni (carbon leakage), cioè lo spostamento della produzione in Paesi con normative ambientali meno severe, al fine di evitare i costi legati alla riduzione delle emissioni di CO₂. Con il tempo, il CBAM diventerà progressivamente un’alternativa all’EU ETS, poiché le quote gratuite verranno ridotte in tutti i settori. Questa transizione garantisce un approccio più completo alla tariffazione del carbonio e rafforza l’impegno dell’UE nella riduzione delle emissioni di gas serra.
Il CBAM si applica attualmente a settori ad alta intensità di carbonio: cemento, fertilizzanti, ferro e acciaio, alluminio, energia elettrica e idrogeno, scelti per le elevate emissioni e il rischio di carbon leakage. Il meccanismo copre sia prodotti finiti che materie prime o semilavorati. In futuro, potrà essere esteso ad altri settori già inclusi nell’EU ETS.
CBAM e Paesi in via di sviluppo: impatti economici e ambientali
Come spiegato fin qui, il CBAM,rappresenta uno strumento chiave per contrastare il cambiamento climatico. Tuttavia, le sue implicazioni economiche sollevano serie preoccupazioni per i Paesi in via di sviluppo, che rischiano di subire gli effetti negativi della sua applicazione. Secondo un recente studio, i Paesi non appartenenti all’OCSE, in particolare quelli africani e asiatici, sono destinati a registrare un calo più significativo dell’output industriale e un aumento più marcato dei costi di produzione rispetto alle economie avanzate. Le nazioni meno sviluppate (LDCs), escluse le grandi economie emergenti come i BRICS, mostrano inoltre una bassa efficienza nella riduzione delle emissioni, rendendole ancora più vulnerabili agli effetti del CBAM. Un ulteriore elemento di criticità riguarda la distribuzione dei benefici derivanti dalle politiche climatiche, che tende a favorire i Paesi con maggiori capacità di innovazione verde e con impegni climatici più ambiziosi, escludendo di fatto le economie più fragili. Per affrontare queste disparità, lo studio propone un meccanismo di redistribuzione delle entrate da CBAM, basato su criteri di responsabilità storica delle emissioni, contributo all’innovazione verde e ambizione nella riduzione delle emissioni. Questo sistema mira a garantire una transizione climatica più giusta ed equilibrata, in linea con il principio delle responsabilità comuni ma differenziate.
Case Study 1: L’India e il settore siderurgico
L’India, ad esempio, ha espresso preoccupazioni riguardo all’impatto del CBAM sul suo settore siderurgico (il secondo più grande al mondo), temendo effetti negativi sulle esportazioni di acciaio verso l’UE. Il ministro delle Finanze, Nirmala Sitharaman, ha definito il CBAM una “barriera commerciale” che potrebbe ostacolare la transizione energetica dei paesi in via di sviluppo, rendendo più difficile finanziare il passaggio dai combustibili fossili. In particolare, il CBAM avrebbe un impatto particolarmente forte sulle piccole e medie imprese del settore siderurgico secondario, che rappresentano circa il 40% della produzione nazionale indiana e sono meno preparate a rispettare i complessi requisiti di emissione richiesti. Le imprese, infatti, devono affrontare sfide significative nella raccolta e gestione dei dati sulle emissioni, nella digitalizzazione dei processi e nella conformità alle nuove normative, che diventano obbligatorie a partire dal 2026. A ciò si aggiunge il fatto che il CBAM potrebbe aumentare i costi delle esportazioni indiane di acciaio verso l’Europa fino al 25%, riducendo la competitività del settore. Inoltre, l’industria siderurgica indiana ha un’intensità di emissioni superiore alla media globale, il che rende più difficoltoso rispettare gli standard richiesti e aumenta il rischio di sanzioni.
Per mitigare questi effetti, l’India sta sfruttando il periodo transitorio fino al 2026 per preparare le aziende, migliorare la raccolta dati e adottare tecnologie più pulite. Il governo è inoltre impegnato in negoziati con l’UE per ridurre l’impatto negativo del CBAM sulle esportazioni. L’adozione di processi produttivi a basse emissioni rappresenta anche un’opportunità per il settore siderurgico di mantenere la competitività a livello globale e allinearsi agli obiettivi climatici nazionali.
Case Study 2: Il Kenya e l’export di prodotti agricoli
Particolarmente colpita dagli effetti del CBAM sarà anche l’Africa, che ospita 33 delle 46 nazioni meno sviluppate del mondo, caratterizzate da elevata vulnerabilità economica e ostacoli strutturali allo sviluppo sostenibile. Durante la progettazione del CBAM, l’Unione Europea ha preso in considerazione l’esenzione per questi LDC, ma ha poi deciso di non applicarla. In alternativa, il Parlamento Europeo ha proposto di destinare un supporto finanziario equivalente ai ricavi derivanti dalla vendita dei certificati CBAM per sostenere la decarbonizzazione delle industrie manifatturiere nei LDC. Tuttavia, impegni concreti non sono ancora stati presi. Attualmente, i ricavi del CBAM sono destinati invece all’Innovation Fund europeo, contraddicendo le precedenti intenzioni di finanziare direttamente gli sforzi dei LDC. Secondo un recente studio, l’impatto del CBAM sui LDC africani sarà inizialmente limitato (massimo 0,17% del PIL), ma in uno scenario in cui il meccanismo si estenda a tutte le importazioni, 11 LDC africani potrebbero subire una contrazione del PIL superiore all’1,5%, con picchi fino all’8,4%.
Un esempio nel contesto africano è il Kenya, che sta iniziando a prendere consapevolezza dell’impatto potenziale del CBAM sulle sue esportazioni, in particolare nei settori dell’agricoltura, dell’orticoltura e della manifattura su piccola scala. Nonostante il CBAM riguardi al momento soprattutto prodotti ad alta intensità di carbonio, infatti, il suo possibile allargamento potrebbe coinvolgere anche l’agricoltura, mettendo sotto pressione le esportazioni keniane verso l’UE, uno dei principali partner commerciali del paese, rafforzato dall’Accordo di Partenariato Economico recentemente attivato. Uno studio condotto nel 2024 ha evidenziato una scarsa preparazione e conoscenza del CBAM tra le piccole e medie imprese keniane, soprattutto nei settori più vulnerabili, mentre le grandi aziende con collegamenti internazionali mostrano una maggiore familiarità con i requisiti di conformità. Attualmente, la maggior parte delle imprese manca di sistemi completi per la misurazione e il monitoraggio delle emissioni di carbonio, fondamentali per rispettare le nuove normative europee. Settori più regolamentati, come il cemento e l’energia, sono invece più avanzati in questo senso, grazie anche alle normative ambientali nazionali che impongono il monitoraggio delle emissioni e incentivano l’adozione di tecnologie più pulite.
Sebbene l’impatto economico diretto del CBAM sul Kenya sia oggi limitato, a causa della scarsa incidenza di prodotti ad alta intensità di carbonio tra le esportazioni verso l’UE, la situazione potrebbe mutare con l’ampliamento del meccanismo o con l’aumento delle esportazioni in settori sensibili. Le principali sfide rimangono però il gap tecnico, la mancanza di quadri normativi adeguati e la disomogeneità nelle pratiche di raccolta e reporting delle emissioni, soprattutto tra le PMI. Per prepararsi efficacemente al CBAM, il Kenya deve investire nel rafforzamento dei sistemi di monitoraggio, nella formazione tecnica e nella sensibilizzazione, favorendo la collaborazione tra istituzioni governative, associazioni di categoria come la Kenya Association of Manufacturers (KAM) e il Kenya Private Sector Alliance (KEPSA), e partner allo sviluppo. È inoltre fondamentale adottare un approccio graduale all’implementazione del CBAM, con trasparenza nell’uso dei proventi e incentivi finanziari per sostenere gli investimenti verdi.
Ultimi aggiornamenti
Negli ultimi mesi, l’Unione Europea ha introdotto importanti aggiornamenti al CBAM per renderlo più efficiente e meno oneroso per le imprese. Parallelamente, la Commissione sta valutando misure di sostegno per le esportazioni europee nei settori interessati, per evitare perdite di competitività a causa del meccanismo. È stato inoltre avviato un sistema di sorveglianza doganale sui flussi di rottami metallici, per contrastare pratiche di elusione. Questi interventi mirano a semplificare l’attuazione del CBAM, rafforzandone l’efficacia e tutelando al tempo stesso le imprese europee.
Conclusione: Strategie dei Paesi in via di sviluppo per adattarsi al CBAM
Il CBAM rappresenta una sfida rilevante per i Paesi in via di sviluppo, che rischiano di vedere compromessi i loro percorsi di industrializzazione a causa di misure climatiche imposte unilateralmente. Per evitare di subire passivamente le conseguenze di queste politiche, è fondamentale che tali Paesi adottino strategie proattive.
In questo contesto, si delineano quattro possibili strategie di risposta. La prima è la decarbonizzazione, che comporta l’adeguamento dei processi produttivi agli standard europei per evitare sanzioni e mantenere l’accesso al mercato UE. In alternativa, i Paesi in via di sviluppo possono emulare strumenti simili a quelli europei (come l’EU ETS), introducendo meccanismi propri di carbon pricing per migliorare la competitività e favorire l’integrazione nei mercati globali. Un’altra opzione è la contestazione diplomatica, attraverso cui cercare di ottenere condizioni più eque che riflettano le diverse capacità economiche e i livelli di sviluppo. Infine, è possibile riorientare le politiche industriali e commerciali, evitando i settori più vulnerabili all’impatto del CBAM e puntando su mercati meno esposti. In conclusione, il CBAM rappresenta una grande opportunità sia per l’Europa, sia per Paesi extra Europei, ma è necessario calibrare bene l’applicazione di tali misure.





