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Primarie democratiche americane, spira vento da sinistra

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Vecchia guardia o astro nascente? Moderato o progressista? Chi sarà il candidato democratico alle elezioni presidenziali del 2020? In un’America sempre più divisa, a essere in palio alle primarie democratiche è l’identità del partito stesso. Il parterre degli aspiranti presidenti blu è ormai affollato: a tuffarvisi sono state tante donne, nonché giovani e rappresentanti delle minoranze, specchio di una base sempre più eterogenea. Una tendenza che richiama anche le elezioni di metà mandato di novembre, dalle quali è emerso il parlamento più “diverso” della storia americana in quanto a genere, età, appartenenza etnica e religiosa degli eletti.

Sulla cresta dell’onda

È proprio sulla scia dell’entusiasmo delle ultime elezioni che i democratici corrono in direzione Casa Bianca. Complice un presidente polarizzante, il Partito Repubblicano di Donald Trump ha mostrato le sue vulnerabilità e ha perso terreno in favore dei democratici. Un elettorato galvanizzato ha quindi generato quella che nel gergo delle scienze politiche è chiamata “ondata blu”: era dalle elezioni post-Watergate che il Partito Democratico non riscuoteva un così largo successo, portando ben 41 seggi della Camera dei rappresentanti a suo favore. Certo, il ribaltamento di numeri non ha investito il Senato allo stesso modo e le aspettative sui democratici erano talmente alte da portare alcuni a vedere il bicchiere solo mezzo vuoto, alla luce anche di elezioni statali perse per un soffio (una su tutte, la sconfitta di Beto O’Rourke, ora protagonista della corsa alle primarie democratiche, contro il senatore Ted Cruz per l’incarico di governatore in Texas). Nonostante ciò, come detto, i democratici hanno avuto modo di gioire, soprattutto perché il loro partito è tornato ad essere la maggioranza alla Camera dopo otto anni. Potrà ora dare del filo da torcere al Presidente Trump.

Fattore determinante, l’aver giocato la campagna elettorale sul tema della sanità, per tanti americani ancora fin troppo cara. I candidati democratici sono scesi in campo in difesa dell’Obamacare, mettendo al centro del dibattito persino eventuali estensioni del piano pubblico di assicurazione Medicaid. Una questione dal sapore socialista da cui un tempo i politici americani preferivano scappare, e su cui oggi invece basano la proprio forza, sintomo del fatto che il baricentro del Partito Democratico ora gravita nettamente più a sinistra. “Più tasse ai ricchi, più attenzione ai lavoratori, più sicurezza sociale” sembra essere il mantra di tanti.

Volti e idee

Ma chi sono i protagonisti della corsa alle primarie democratiche del 2020? Andando per ordine, il primo nome di spicco a esser venuto a galla lo scorso Capodanno è stato quello di Elizabeth Warren. Orgogliosa progressista col pallino della disuguaglianza di reddito, la senatrice del Massachusetts dice di voler aggiustare un sistema capitalistico in cui la classe media è sotto attacco da parte delle grandi corporazioni. Tra le sue intenzioni, dar spazio ai lavoratori nei consigli d’amministrazione delle imprese e istituire una tassa sugli ultra-milionari. Altra figura di spicco è Kamala Harris, ex procuratrice della California che personifica la rinnovata pelle del Partito Democratico e che ha generato molto interesse negli ultimi tempi. Porta la sua firma la proposta del LIFT Act, che stabilirebbe un credito di imposta fino a 6mila dollari l’anno rivolto alle famiglie di lavoratori della classe media per far fronte al crescente costo della vita.

Da non dimenticare Bernie Sanders. Il senatore del Vermont è stato il primo a infervorare la base socialista del partito, in occasione del duello, poi perso, contro Hillary Clinton alle primarie del 2016. Il nome di Sanders viene associato all’accesso universale alla sanità pubblica (“Medicare per tutti”), per cui si batte sin da prima che quest’idea divenisse popolare. Tra le altre sue proposte, rendere gratuita l’istruzione universitaria. L’obiettivo è quello di redistribuire la ricchezza ed ampliare la rete di sicurezza sociale. Ci prova anche Beto O’Rourke, che ritenta l’impresa dopo essere sorprendentemente riuscito ad insidiare il repubblicano Ted Cruz nel rosso Texas lo scorso novembre. Pur essendo ancora piuttosto vaga, la sua agenda politica sembra voler trasmettere messaggi ottimisti, ad esempio attraverso una riforma dell’immigrazione basata sul “rispetto e la dignità”.

Confermati, tra gli altri, i nomi di Cory Booker, Kirsten Gillibrand e Tulsi Gabbard. Per promuovere le pari opportunità, l’idea di Booker è quella di creare un “baby bond”, ovvero un conto di almeno mille dollari assegnato alla nascita a ogni bambino. Tulsi Gabbard, molto criticata per aver incontrato il Presidente siriano Assad, vorrebbe ridurre le spese militari non intervenendo in guerre atte al cambio di regime. Kirsten Gillibrand invece, sembra avere la parità di genere al cuore della sua campagna.

Resta da capire se Joe Biden, vicepresidente con Obama, formalizzerà la sua candidatura. Con il suo approccio bipartitico, Biden è senz’altro in controtendenza rispetto al progressismo delle nuove leve democratiche. Ciononostante, in tanti scommettono sul suo nome universalmente riconosciuto all’interno del partito, anche se le ombre dell’ultima ora su alcuni suoi comportamenti ritenuti troppo “affettuosi” nei confronti di alcune donne hanno forse macchiato la sua immagine in questi giorni.

Il sapore del successo

Solitamente, le elezioni presidenziali offrono agli elettori una scelta chiara, essendo il candidato repubblicano e quello democratico ben distinti in quanto a idee politiche. Quindi, è soprattutto attraverso il contest delle primarie che le sfumature ideologiche entrano in gioco. Tuttavia, le stesse primarie raramente sono sembrate così imprevedibili. Sarà difficile applicare i soliti calcoli strategici su quali gruppi dell’elettorato ciascun candidato riuscirà ad accaparrarsi. Ad esempio, la comunità afro-americana avrà almeno due alternative con Cory Booker e Kamala Harris. Non sapremo chi sarà il volto democratico delle presidenziali fino a luglio 2020, quando sarà la Convention del partito a decretarlo.

Per parlare di statistiche e favoriti è ancora troppo presto, ma ciò che è certo è che ai democratici serve una personalità che sappia prendere Trump di petto e che sia in grado di affrontare la sua personalità abrasiva soprattutto durante i dibattiti, spesso rivelatisi essere momenti cruciali di una campagna. Su questa linea, diversi sondaggi riportano che gli elettori preferirebbero nominare un candidato che abbia chance di battere il tycoon, rispetto allo scegliere un candidato al quale sono ideologicamente affini. Per non essere invitati alla prossima inaugurazione di Trump, serviranno idee fresche, ma soprattutto ambizione, carisma e carattere.

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Rebecca Cambrini
Nata a Pesaro, porto con me anche un po' di Sydney mentre frequento il terzo anno di Scienze Politiche all’Università Bocconi. Due cose non possono mancare nella mia vita: il mare e un occhio critico sul mondo.

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